Una gremita Sala dei Notari fa da cornice a un tipo di giornalismo atipico, quello "morale" di Domenico Iannacone. Il conduttore e autore del programma "I dieci comandamenti" di Rai 3 trasporta la platea all'interno delle realtà incontrate lungo la strada, viste attraverso le sue lenti di giornalista contaminato dalla poesia, dall' "idea di limare nella costruzione di quello che si fa", dalla volontà di fare una piccola rivoluzione: "riprendermi in mano i tempi di una tv che non si faceva più".
Come? Tramite un metodo di analisi fondato sul concetto di "realtà partecipante", nella convinzione che la verità si trovi al centro della relazione tra gli individui, in un processo di "maieutica del racconto" di matrice socratica: "se ti confronti - afferma Iannacone - comprendi meglio [...] Ci dobbiamo sporcare le mani per avere una prospettiva diversa". Questo è il modus operandi che ha guidato le sue inchieste morali alla base delle dieci puntate trasmesse da Rai 3, in cui l'intento dell'autore è emerso anche grazie alle influenze di quelli che considera come dei maestri: Gregoretti, Comencini, Zavola, Pasolini; ma anche alle lezioni di Capuani, Luzzi e Bertolacci. "Hanno creato un impasto", quello sotteso alla produzione di questo ciclo di episodi, che rispetta l'intimità, il dolore, i silenzi delle realtà che intende raccontare. Niente rincorse, niente sotterfugi, niente telecamere nascoste. Per questo, conclude un emozionato Iannacone "Il mio modo di raccontare deve essere re-la-zio-ne. Sennò, no".
Lorenzo Tobia - volontario press office IJF19