Nel pomeriggio in sala Raffaello si è tenuto il panel incentrato sul tema della propaganda del terrore portata avanti dall’Isis. All’incontro hanno partecipato Fabio Chiusi (giornalista freelance), Eugenio Dacrema (ricercatore associato ISPI) e Marta Serafini (Corriere della Sera).
“La propaganda è il modo in cui Isis vuole darsi un’immagine agli occhi del mondo e Dio è lo strumento per dare senso alla sua autorappresentazione, è la giustificazione per portare a compimento i suoi atti in quanto fornisce radici storiche e ideologiche alla sua causa”, così ha aperto il dibattito Chiusi.
Secondo il giornalista freelance l’Isis ha certamente vinto dal punto di vista comunicativo, riuscendo a raggiungere e ad attrarre l’occidente, anche grazie all’efficacia dell’ultraviolenza. Proprio a causa del forte impatto generato dalle continue immagini di sangue e decapitazioni, è complicato mettere in piedi una contronarrazione. “Se ci rassegniamo a narrarlo come uno scontro tra Islam e resto del mondo, facendo di tutta l’erba un fascio, finiamo col confermare i fondamenti ideologici dell’Isis, facendo così il gioco dei terroristi. Riaffermiamo la profezia messianica dello scontro finale tra religioni e allora giustifichiamo la chiamata alle armi”, ha spiegato Fabio Chiusi.
La parola è poi passata ad Eugenio Dacrema, che ha ripercorso l’evoluzione dei media al servizio dei gruppi terroristici. All’epoca dei padri la comunicazione era più diretta, si serviva di strumenti immediati come semplici volantini, perciò combattere questo tipo di narrativa era molto semplice. Nell’era dei figli, Bin Laden ed Al Zawahiri, la narrazione è cambiata adattandosi al nuovo panorama dei media, dominato dalla televisione ed ha confezionato eventi spettacolari, veri e propri show. “La terza generazione, quella dei new media”, ha spiegato Dacrema, “si caratterizza per una perdita di importanza della televisione. Attraverso questi canali l’isis sta narrando una realtà in grande espansione, cercando di dimostrare che gli islamici nel proprio territorio potranno vivere la vita islamica perfetta. Ma la descrizione del califfato come di uno Stato in continua espansione è una narrazione falsata, come una bolla finanziaria.” Da ciò è emerso che i media nostrani, dando credito a questa narrazione, potrebbero paradossalmente aiutare la propaganda dell’Isis, creando un processo di autoavverazione, in modo che sempre più persone cercheranno di aggregarsi a loro. “La bolla prima o poi esploderà, ma il rischio è che un giorno ci si possa anche assuefare a questa violenza”, ha concluso Dacrema.
Grazie all’esperienza vissuta in prima persona da Marta Serafini è stato poi possibile spostare l’attenzione sul ruolo delle donne islamiche nella propaganda dell’ Isis. “Le ragazzine vengono schiavizzate e utilizzate per fare propaganda verso le altre donne, servono al califfato per mostrare che la vita Islamica assicurata dall’Isis è bella”, secondo la giornalista del Corriere della Sera. “La donna è un oggetto e contemporaneamente ha il ruolo di fare propaganda e di combattere”, ha proseguito, “per fare questo si usano immagini di principesse guerriere (come Mulan). Tutto questo viene raccontato anche per attirare foreign fighters. Ma questo rende anche la vita difficile alle donne musulmane che vivono in Europa che risultano discriminate rispetto alle donne occidentali.”
Per quanto riguarda il racconto della realtà Isis perpetrato dai media italiani, si è convenuto sulla difficoltà di descrivere lo stato delle cose in maniera esatta, soprattutto in quanto manca la possibilità di raccontare direttamente, di mandare inviati in Siria o in Iraq. È quindi difficile avere conferma di quello che sta succedendo.
Infine l’aspetto legato ai social network, particolarmente attuale vista la decisione di Twitter durante la scorsa settimana di far salire il numero degli account rimossi a 10000 al giorno. Per i tre speakers certamente la decisione è scaturita dalla necessità di risolvere un grave danno di immagine generato dagli account dei miliziani Isis e anche dalle pressioni ricevute dagli Stati occidentali.
Leonardo Vaccaro