“Noi donne siamo sole”. Con queste parole Daniela Albanesi, Centro per le Pari Opportunità Regione Umbria, ha aperto il primo dei quattro appuntamenti dedicati al tema della donna, alle riflessioni sulla sua condizione e al complesso rapporto con il mondo dei media e del potere. Tanti i temi trattati e le problematiche messe sul tavolo: dal ruolo della donna all’interno della famiglia, all’esclusione dalle posizioni lavorative di prestigio, alla strumentalizzazione del corpo e alla posizione all’interno della società occidentale ed islamica.
Concita De Gregorio, direttore Unità, ha sottolineato come troppo spesso la donna venga considerata come una categoria a sé stante. “ Non basta dire donna”, ha più volte sottolineato il direttore dell’Unità riprendendo il titolo di un articolo e ribadendo la necessità di andare oltre le differenze di genere, raccontando una realtà in cui sempre più ragazzine sperano nei book fotografici per trovare lavoro, e di una condizione femminile peggiorata.
Parzialmente diversa la posizione di Alessandra Arachi, giornalista del Corriere della Sera ed Emilio Carelli, direttore di SkyTg24. “Quando ho iniziato a scrivere pensare a dei capi-servizio donne, era inconcepibile mentre oggi al Corriere della Sera siamo equamente ripartiti tra uomini e donne. Sono convinta che da questo punto di vista un progresso notevole ci sia stato. Quello, purtroppo, a cui stiamo assistendo è una retrocessione collettiva dell’intera società. La cooptazione non è di genere, è sia maschile che femminile e i diritti che vengono a mancare, vengono meno per entrambi”. Questa la riflessione di Alessandra Arachi a cui ha fatto eco Emilio Carelli. “Molto è cambiato nella società attuale - ha sostenuto il direttore di SkyTg 24 - e in diversi campi la donna ha raggiunto posizioni di prestigio. Bisognerebbe smettere di parlare di uomo-donna ed applicare altre categorie, prima fra tutte quella di individuo”.
Interessante l’analisi di Joumana Haddad (An-Nahar) che allarga la discussione alla condizione della donna nel mondo aggiungendovi la dimensione religiosa. “ Il velo o il Burqa coprono il corpo della donna che rappresenta una tentazione per gli uomini. In questo senso la religione ha contribuito a trasformare il corpo della donna in “peccato”, un oggetto di desiderio e di paura. In Libano le donne che portano la minigonna si sentono emancipate ma l’emancipazione è altra cosa, la si raggiunge con le leggi”. E allora che fare? A margine del panel discussion si è tentato di trovare delle soluzioni, e il primo punto da cui ripartire sembra essere quello di credere più in sé stesse.
Erica Cecili