Economia e finanza: bad news=good news

Il panel si apre con una domanda, anzi, “la” domanda  che tutti si sono posti allo scoppio della crisi globale: il giornalismo finanziario ha bucato la notizia della crisi?

È Massimo Mucchetti a parlare per primo. Secondo lui i segnali della crisi potevano essere colti solo da testi universitari, solo seguendo alcune lezioni di economia negli Atenei. Se per le armi di  distruzione di massa le notizie sono state ingigantite per giustificare l’attacco all’Iraq del 2003, con la crisi economica è successo l’esatto contrario.

In Italia i sintomi della crisi non sono stati colti per un motivo fondamentale, che racchiude poi tutti i problemi del giornalismo italiano: un’informazione economica attendibile deriva dalla sostanziale libertà, dal pluralismo delle testate, dall’assenza  di selezione politica delle carriere giornalistiche. Tutti punti che in Italia non ritroviamo.

Adrian Michaels non è d’accordo con Mucchetti: il problema del giornalismo finanziario italiano non deriva solo dalla politicizzazione della stampa e dei media, ma dai gap propri dei giornalisti che, nonostante siano oggi molto più preparati dal punto di vista economico rispetto a 20-30 anni fa, spesso sembra che “osservino il mondo da un luogo che non ne fa parte”.

Betty Wong, seguendo la tesi di Michaels, ha affermato che i giornalisti finanziari non solo sono rimasti a guardare, ma hanno addirittura lavorato per coprire i fatti, per sotterrare i segnali della crisi, salvo poi auto-flagellarsi una volta che la crisi ha assunto dimensioni mondiali, portando al crollo dei redditi delle famiglie, che continuavano a indebitarsi, e delle imprese, che accumulavano debiti.

Solo da poco i giornalisti finanziari si stanno concentrando sulle aziende quotate in borsa, avvicinando quel mondo “fittizio” degli indici e dei numeri, al lettore-utente-cittadino.

La diversità di punti di vista, quello italiano da un lato, e quello di stampo anglosassone dall’altro, ha animato il panel, dando spunti su cui riflettere, ma su un punto i tre giornalisti si sono trovati d’accordo: seppure con tempi non proprio rapidissimi, il giornalismo finanziario ha fatto sì che “Dow Jones” e “Nasdaq”, diventassero termini alla portata del lettore. E questo è già un traguardo.

Imma Fusco

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