Si divertono i tre critici intorno al tavolo. Si diverte il pubblico in sala. Tra metafore gastronomiche e retroscena televisivi.
Coordina il dibattito sul rapporto tra critica e televisione Francesco Specchia, inviato politico e critico televisivo per Libero. “Il lavoro del critico è stare in casa e guardare la tv, insomma un autistico”, esordisce così, passando, poi, la parola a Nanni Delbecchi, che si occupa di televisione per Il Fatto Quotidiano ed è autore del libro oggi presentato, La coscienza di Mike, una storia della critica televisiva. “In Italia la critica è sempre stata trattata da grandi firme, letterati come Campanile, Bianciardi, Placido, Pasolini, Saviani”.
E scatta l’aneddoto.
In una Torino deserta di molti anni fa, De Benedetti incontra un uomo che corre. Lo ferma incuriosito da tanta fretta: “La domanda finale di Lascia o Raddoppia.” Tornato al giornale, incarica Aldo Buzzolana, noto critico teatrale, di guardare la trasmissione e scriverne.
Trenta righe perfette. In un ottimo italiano senza sbavature. Nasce la critica televisiva in Italia.
Interviene Giorgio Simonelli, docente di giornalismo televisivo e critico per la trasmissione TvTalk, dicendo che la televisione, che come il calcio è sempre stata considerata “un giocattolo per bambini un po’ stupidi”, ha creato tra le più belle recensioni di sempre.
Sulla scia dei ricordi, escono anche i nomi. Gad Lerner “si incazza” parecchio se qualcuno ne dice male. Ricci è spietato. La De Filippi cattiva e Vespa crudele. Chi scrive che ha perso negli ascolti contro Santoro può essere svegliato alle sei e mezzo del mattino. “Dovrò chiamare il suo direttore”.
Davide Lupi