Le verità nascoste, Vaticano Spa

Al Teatro Pavone, qui a Perugia nel terzo giorno di Festival, si parla di Vaticano, più precisamente di Vaticano Spa. L'opera di Gianluigi Nuzzi, infatti, ha avuto un impatto forte sul mondo dell'informazione nei confronti della Santa Sede, che oggi proprio dall'informazione è duramente attaccata. Sono anni bui della Storia d'Italia, quelli che narrati da Nuzzi perdono il loro eco nella pienissima sala del Teatro, colmo in ogni ordine di posti. Gli anni dello Ior, dello scandalo di Marcinkus, della Chiesa “Nera” il cui nome trovava posto nei segreti più “scabrosi” della storia italiana, come per Sindona, l'Ambrosiano e l'affaire Roberto Calvi. Ma si parla anche di ruberie quotidiane, magari sui conti dedicati alle messe di suffragio per i defunti. Nuzzi rivendica la sua imparzialità rispetto a un territorio sicuramente minato, ma non denuncia pressioni a parte un tentativo di acquistare più della metà dei diritti cinematografici dei film.  Il discorso diventa così un amarcord amaro e allo stesso tempo un “documentario” verbale, grazie anche alla testimonianza di Rossend Domenech, che narra di come riuscì a scrivere di Marcinkus e creare un canale di comunicazione diretta con lui. Racconta, cioé, di come sia difficile entrare, in Italia, nelle “verità nascoste”. E' una piacevole lezione di storia, sicuramente gradita ai tantissimi giovani spettatori, che riguarda un periodo fra i più misteriosi, quello che va dal dopoguerra sino alla fine degli anni 1980. Lo fa seguendo però, un protagonista particolare: la finanza Vaticana. Nuzzi e Domenech ripercorrono le vicende monetarie che hanno portato al “disastro Ambrosiano”, spiegando l'economia vaticana, quasi dalla nascita sino all'Era Marcinkus. Un mondo così a parte che, aneddoto divertente ma amaro, la finanza vaticana aveva molte azioni della stessa società che portò in Italia la pillola abortiva. Un percorso che si snoda tra storia e quotidianità, ovvero il processo d'appello a Calvi in atto in questi giorni, se pur nell'indifferenza generale, dalle cui carte si evince dell'esistenza di un conto, non certo povero, intestato a Giulio Andreotti. Segue un'ampia finestra proprio sulla vita dell'alto prelato, complice un ritratto su Marcinkus di Philip Willan come un personaggio dalle tinte indefinite, perso fra testimonianze storiche e moderne derivate da un processo in cui gli attori, sempre più, puntano il dito contro il rappresentante vaticano. Eppure, è la riflessione dei relatori, anche il dopo Marcinkus non ha significato un cambio di rotta, nei modi finanziari della Santa Sede. “Un sistema che vale per tutti e oggi ha solo cambiato metodi, inabissandosi”, puntualizza Nuzzi. E ancora, il primo conto Ior del dolo Marcinkus, proprio quello di Andreotti, dedicato a quell'arcivescovo che fece da tramite tra l'Italia e la Cia per evitare il “dominio comunista” nel dopoguerra. Si arriva nel 1999, quando bisognava “evitare che Omissis (cioé Andreotti) finisse nel mirino di Mani Pulite”, così come si era cercato di insabbiare le indagini su Sindona e Calvi, e i loro “suicidi” provvidenziali. E ancora il Vaticano si muove: “Non induciamo in tentazione i giudici di Mani Pulite”.

Maddalena Balacco

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