Si è svolto alle ore 17.00 nella Sala Lippi il Journalism Lab riguardante i Percorsi professionali e delle prospettive occupazionali dei futuri giornalisti con Angelo Agostini, direttore di “Problemi dell’informazione”; Ugo Barbara dell'Agenzia Giornalistica Italia e fondatore di To report; Marcella Cardini, direttore del Centro di Documentazione Giornalistica; Lella Mazzoli docente dell'Università di Urbino e Stefano Natoli de Il Sole 24 Ore e Radiocor.
Si discute sulla formazione nella professione giornalistica e sul suo cambiamento.La domanda fatidica che tutti noi (giornalisti “occasionali” e in erba, pubblicisti, appassionati, fotografi, blogger, ecc...) ci facciamo è: Ma quale può essere il futuro dei nuovi giornalisti italiani, insomma... il nostro futuro?
Introduce il discorso Marcella Cardini, aprendo immediatamente un dibattito sul tema della formazione e dell'accesso alla professione.
“Siamo tutti consapevoli di essere di fronte ad un momento difficile dell'editoria italiana ma siamo altrettanto consapevoli che le nuove tecnologie posso aprirci nuove porte.”
La formazione degli aspiranti giornalisti deve subire dei rinnovamenti?
Questo è uno degli argomenti di “fuoco” della nostra discussion.
Quale rilievo hanno le scuole di giornalismo? La formazione in queste, che possiamo definire delle“palestre”, può essere sufficiente?
I commissari di controllo dell'ordine dei giornalisti si sono recentemente imbattuti nella verifica della qualità della formazione delle varie scuole presenti nel territorio italiano: la regola che si è seguita è stata quella del “Poco... ma buono!”: poche scuole ma alta qualità nell'insegnamento.
Nuova caratteristica fondamentale è la pariteticità di giornalisti e accademici che ora hanno lo stesso peso nelle scelte e nella gestione delle scuole, risultano ,quindi, coinvolti attivamente gli ordini regionali e questi hanno il diritto di inviare delegati nelle varie commissioni di selezione.
Sono stati fissati dei rigorosi parametri sulla quale fare controlli di qualità e l'ordine chiede alle scuole l'eccellenza, quindi non una sufficienza, ma un voto superiore; per la prima volta entra in gioco il numero degli allievi promossi per valutare il livello della scuola.
In tal modo, si è proceduto, in questi ultimi anni, ad un giro di verifiche e alla garanzia di standard più elevati. Dalle ricerche e dalle considerazioni effettuate in merito all'argomento, le scuole di giornalismo risultano quindi l'elemento privilegiato per entrare nell'ordine.
Ma quanto conta il giornalismo oggi in un paese dove ogni giorno si assiste ad attacchi alla libertà di informazione? Cosa vuol dire fare giornalismo, perchè imparare in una scuola quando il 70% dei giornalisti iscritti all'albo è un cosiddetto “giornalista d'ufficio”?
Risponde Angelo Agostini: “Oggi il giornalismo deve rispondere ad una domanda fondamentale che non è come si scrive una notizia, ma chi mi legge, quando mi legge, perchè lo fa! Quali sono i bisogni di informazione dei cittadini? Bisogna pensare quale sia il pubblico, a che gli serve ciò che scrivo. E questo non viene insegnato in redazione, bisogna acquisire la metodologia nelle scuole. La nostra è una professione delicata e di alta responsabilità.”
Non tutti sono d'accordo, le scuole spesso vengono catalogate come “accademiche”, con poca possibilità di pratica. Potremmo concludere che quello che ci manca in Italia è l'ibridazione di competenze accademiche e pratiche.
Oggi con l'avvento dell'era digitale, è necessaria (e in futuro sarà obbligatoria!) la formazione di persone con capacità differenti che sappiano utilizzare metodi e linguaggi diversi a seconda del contesto in cui si andrà ad operare.
Ugo Barbara ci parla del difficile impatto dal banco, al desk e alla strada. L'evoluzione del giornalismo non permette più di formarsi solo sul campo. Oggi è necessario il “Know how”, competenza acquisibile solo nelle scuole.
“I giovani che escono da una scuola di giornalismo sono meno disposti a scendere a compromessi, lì ti insegnano ad affrontare l'arroganza del potere. Nella scuola si è, però, anche un po' coccolati, ci si sente ”in training”.”
Il consiglio che ci viene dato è di non puntare subito in alto, di iniziare la faticosa gavetta in agenzie di stampa o attraverso il free lance.
Abbiamo bisogno di ricerca e sviluppo, abbiamo bisogno di sperimentare il nuovo, di osare attraverso i nuovi media (Il digitale terrestre ne è un esempio) che potrebbero fornire un nuovo trampolino di lancio per questo difficile ma affascinante mestiere.
Per le prospettive occupazionali, i grafici ci parlano chiaro: l'85% dei praticanti formati nelle scuole trova impiego.
Non bisogna però dimenticare la crisi del settore e gli editori, prima o poi, dovranno investire su piattaforme multimediali per sopravvivere.
Natoli ci parla di “Mediamorfosi”: la trasformazione del modo di comunicare.
Non mancano gli interventi contro la tematica della discussione che ad alcuni è sembrata un'apologia delle scuole di giornalismo.
Sì, perchè oggi, solo la passione può muovere questo lavoro. Spesso si lavora “A gratìs”, le scuole costano troppo, manca in questo campo quello che si definisce il “diritto allo studio”.
Servono nuovi strumenti per accedere alla professione, per fare informazione: viene presentato “To report”, un esempio che punta a diventare una sfida on demand. C'è crisi, è vero ma c'è anche “fame” di informazione. “To report” è un progetto pensato per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di contenuti giornalistici professionali: si vendono pezzi. E non a 5 euro come spesso sono pagati ai poveri giornalisti che fanno gavetta. Il prezzo è deciso dal giornalista free lance: “se vuoi un buon pezzo decido io quanto fartelo pagare.”
Questo pomeriggio, in conclusione, abbiamo assistito ad un clamoroso crollo del mito del praticantato. Il consiglio finale è quindi quello di ritornare sui banchi (se pur con difficoltà economiche,fatica e poca speranza) per imparare le regole, come fanno dottori, ingegneri e avvocati, per dimostrare che il nostro mestiere, quello di essere giornalisti, non ha nulla da invidiare alle altre professioni. E c'è chi, come me, da piccola diciannovenne inesperta, è entrato in sala Lippi sperando di ottenere un quadro sulle prospettive future di lavoro e ne esce, purtroppo, un po' delusa e dubbiosa... Ma l'importante resta avere un sogno e fare di tutto per realizzarlo. Il mio, anche dopo questa discussione, rimane quello di diventare giornalista. E sicuramente ce la farò. Ma per fare questo, a mio parere, non basta solo studiare: ci vuole coraggio, tenacia e la capacità di saper osare.
Ilaria Spagnuolo