Il giornalismo di precisione è l’utilizzo di metodi di ricerca per far sì che i numeri riportati sui giornali siano veritieri, e per evitare di doversi gestire nelle dispute fra istituzioni e organizzatori, o anche fra maggioranze e opposizioni. Philip Meyer, professore emeritus dell’Università del North Carolina, ha scritto un libro a proposito, avendo inventato il concetto di precisione nel giornalismo. “Come America deriva da Amerigo Vespucci, che non l’ha scoperta ma ne ha scritto, così ho capito che per avere la paternità della scoperta dovevo scriverne”, afferma. Oggi, un giornalismo di questo tipo diventa sempre più necessario, poiché le informazioni tendono ad essere sempre di più e vengono sempre meno analizzate.
Steve Doig, professore del Walter Cronkite School of Journalism and Mass Comunication, ha vinto, invece, il premio Pulitzer proprio grazie a un’inchiesta sul perché un uragano avesse provocato così tanti danni. La risposta è semplice. La nostra stupidità. Il segreto per raggiungere conclusioni obiettive in casi del genere è quella di non rivolgersi, ad esempio, ai costruttori o agli amministratori, le cui risposte saranno sempre tendenziose e protettive di una parte rispetto a un’altra, quanto alle prove, ai fatti, ai documenti. Così, più nuove erano le case, più danni subivano.
Ilvo Diamanti, di Repubblica, è l’esempio del giornalismo di precisione in Italia. E, direttamente in sala via skype, senza mezzi termini dichiara: “L’oggettività nella scienza sociale non esiste, ma sta tutta nel metodo che si utilizza”. A Diamanti si devono anche le cosiddette “schede tecniche”, in cui si rendono trasparenti i metodi utilizzati per arrivare ai numeri. Quindi, i quando, i come, i chi, i dove, i campioni, le fonti, ma anche le domande che sono state fatte, le risposte non date, gli indici (quel mondo di percentuali sconosciute).
Il Prof. Josè Luis Dader dell’Università Complutense di Madrid, sottolinea come la cosa più importante sia proprio la “trasparenza metodologica”. Un giornalista deve intraprendere un viaggio dalle lettere alla matematica, quella spicciola, nessun timore, e viceversa.
Per ritornare al caso italiano, basta considerare ciò che accade ad ogni manifestazione italiana. Si danno i numeri. La maggioranza dice una cosa, l’opposizione dice l’opposto e la Questura varia in base alle persone a cui deve rendere conto. Così si arriva a parlare dello stesso evento con numeri che variano anche di settecentomila persone. Quisquilie.
Insomma, prima di parlare, spesso sarebbe bene che un giornalista si recasse personalmente sul posto. Ma, questi sono casi facenti parte del folklore del BelPaese. Il prof. Doig, infatti, spiega che ora, negli Usa, le cose sono cambiate, e certi dati si calcolano grazie a fotografie satellitari, superfici e stime. Metodo che si è applicato anche per descrivere l’insediamento di Obama.
In realtà, come nota il prof. Dader, il problema non risiede soltanto nelle questioni politiche e negli uomini di potere poco abituati a metodi diversi dalle domande. E qui, il “poco abituati” lo leggerei più come un “non voler essere abituati”. Ma, soprattutto, nei giornalisti stessi, il cui silenzio è dovuto al loro essere, spesso, piuttosto chiusi mentalmente.
Dunque, regola fondamentale è leggere i numeri e non crederci, essere scettici. E solo grazie alla spiegazione dei metodi è possibile capire cosa quei numeri significhino realmente.
Da tutto ciò, ovviamente, nasce il problema dell’accesso alle informazioni. In America, il Freedom information act permette un accesso più o meno libero ai database delle istituzioni. Così, ovviamente, in Italia non è. Scontato. Ma, ad accompagnarci nell’arretratezza, stavolta, è la Spagna, a causa di una normativa di estrema protezione dei dati dell’amministrazione statale. Mal comune mezzo gaudio. Proverbio che vale solo in Italia, ormai.
Potrebbe, comunque, sembrare che questo tipo di giornalismo sia incompatibile con la televisione. In realtà, così non è. Infatti, questi metodi possono girare anche intorno ad un solo numero, rendendo, quindi, scorrevole il servizio anche nella “scatola parlante”. Ma, anche questo è difficile che accade tanto in Italia, quanto in Spagna.
L’America docet insomma e noi cerchiamo di correrle dietro. Niente di nuovo all’orizzonte.
Rosibetti Rubino