L’EFFETTO SNOWDEN SUL GIORNALISMO

Perugia, 1 maggio 2014

«Il tornado Snowden», così l’ha definito Carola Frediani, co-fondatore di Effecinque.org, durante l’incontro L’effetto Snowden sul giornalismo, svoltosi oggi pomeriggio al Teatro della Sapienza. «Mi ricordo tanti colleghi italiani poco interessati e ho trovato questo scetticismo molto sorprendente: le rivelazioni di Snowden ci hanno svelato molto sul rapporto tra i media e i governi, tra i giornalisti e le loro fonti, riguardo i diversi livelli di sorveglianza attuati dai governi, e riguardo la privacy e la sicurezza».

James Ball, del The Guardian, ha lavorato sui file dell’inchiesta Snowden, e racconta che il giornale ha subito molte intimidazioni, ma è riuscito ad andare avanti anche grazie alla condivisione dei contenuti con altre testate: «Snowden sapeva a chi rivolgersi, ha scelto le persone a cui affidarsi. Tutto questo giornalismo, i risultati a cui ha portato, è stato alimentato dal lavoro di molti che hanno collaborato con noi e intorno a noi. Questa vicenda è stata un riscatto e una prova per i media tradizionali, abbiamo potuto vederli adattarsi ad un problema moderno». Ball spiega la difficoltà dell’esaminare documenti così delicati, alcune storie sono state scritte anche diciassette volte prima di essere pubblicate; non basta leggere e copiare, c’è stato uno sforzo editoriale enorme. «Abbiamo dovuto approfondire molte vicende, specialmente riguardanti il Regno Unito. E’ importante che ogni organismo di informazione faccia le proprie scelte, non ci sono stati accordi con le altre testate su cosa pubblicare o cosa no».

Di sicurezza, privacy e social media, ha parlato Andy Carvin di First Look Media (un’organizzazione giornalistica indipendente il cui scopo è combinare tecnologia e notizie): «Se uno entra in First Look, tutti usano PGP (Pretty Good Privacy, un programma di privacy crittografica). Quando sono arrivato, il primo giorno mi hanno subito chiesto di rivedere le mie capacità in materia», spiega. Molti giornalisti costruiscono i pezzi cercando le storie sui social media, e Carvin racconta di come, quando lavorava alla NPR, la radio pubblica americana, sia riuscito a trovare moltissime storie di reduci americani con danni celebrali, e sia riuscito a realizzare un reportage da un punto di vista inedito e particolare, ma discreto. Ma i social media posso essere usati anche contro gli utenti stessi? «Tutto può essere violato. Il governo siriano è noto per questo, giornalisti sono stati compromessi e attivisti ne hanno fatto le spese, ma ogni volta che un social diventa insicuro c’è sempre qualcuno che ricomincia la sua attività su un altro strumento di questo tipo».

Un salto nel passato ce lo fa fare Dan Gillmor (Walter Cronkite J-School), che racconta la prima installazione, quindici anni fa, del software PGP sul suo computer: «Oggi dobbiamo lavorare sul fatto che stiamo vedendo un riconoscimento, tra il pubblico, della minaccia di essere spiati. Molti giornalisti si stanno concentrando su quello che le aziende fanno nel campo della vigilanza, vogliamo riappropriarci del controllo delle nostre comunicazioni. Un effetto meraviglioso della vicenda Snowden è stato il fatto che tutti continuino a seguire una storia, senza ignorarla perché è già stata coperta da qualcun altro». Gillmor sottolinea come il governo abbia, volontariamente, reso il sistema di comunicazione insicuro: «Nessuno si fida più del fatto che la sicurezza sia garantita». Ogni paese si riserva di spiare i suoi cittadini, ma in modo esclusivo, spiega Gillmor, che evidenzia come i giornalisti americani abbiano iniziato da poco a rendersi conto che un governo può essere anche un nemico.

«Tutti dovrebbero imparare a usare degli strumenti di sicurezza online, per garantire sé stessi ma anche gli altri»: a dirlo è Jillian York, della Electronic Frontier Foundation, azienda operante nell’ambito dei diritti digitali, che ha illustrato una ricerca i cui risultati sono positivi e negativi allo stesso tempo; è salito il livello di attenzione per la propria sicurezza, quindi si verifica una sorta di autocensura, ma c’è stato anche un incremento dell’attenzione riguardo le proprie interazioni. «La responsabilità personale è fondamentale, ma dobbiamo anche istruire il pubblico e combattere per avere una tutela migliore. Molti non capiscono perché la vigilanza, a volte, sia un male; in tutta la storia l’unico modo in cui abbiamo cambiato la cultura è stato infrangendo le leggi, ma le leggi stesse ce lo impediscono».

Federica Scutari