Alle 15:45 di mercoledì pomeriggio, presso l’accogliente cornice della Sala Raffaello, si è aperta un’interessante discussione su una delle più anguste realtà dove poter fare giornalismo d’inchiesta al giorno d’oggi: la regione del Sud-Est Europa.
Per incrementare la solidarietà e promuovere la cooperazione tra i giornalisti di questi Paesi, tra il 14 e il 15 ottobre del 2000, a Zagabria, nasce la SEEMO (the South East Europe Media Organisation), il cui segretario generale, Oliver Vujovic, insieme a Barbara Fabro, la quale ha rappresentato la InCE, è stato il moderatore dell’evento che ha visto anche la partecipazione di Anna Babinets, Basar Likmeta e Zrinka Vrabec-Mojzes. I tre giornalisti hanno riportato le loro esperienze, rispettivamente in Ucraina, Croazia e Albania, e, tramite i loro racconti – racconti di minacce, di aggressioni e di amici tragicamente assassinati – hanno fatto emergere le trame di situazioni che si ripetono analoghe in tutta la regione; le dialettica tra i sempre più poveri media indipendenti – sui quali, come ha detto scherzosamente Vujovic, non è più “sexy” investire – e i poteri governativi, che spesso sono proprietari dei mezzi di comunicazione apparentemente pubblici, è la costante di questa funzione di ostruzionismo informativo.
I dati che vengono riportati dalla giornalista croata, riguardo questi Paesi, sono terribili: ben 12 giornalisti, attualmente, vivono sotto la protezione della polizia; dove non si attiva la ‘macchina del fango’, avvengono attacchi e reati criminali nei confronti dei giornalisti perseguitati o delle loro famiglie.
Tre Stati, tre generazioni, tre voci, ma un unico sogno: contribuire, attraverso un importante lavoro (spesso no-profit) di sensibilizzazione e di comunicazione, alla democratizzazione di società sempre più “fascistizzate” e alla nascita di un vero diritto all’informazione libera.
Lorenzo Tobia