La Repubblica dei portavoce

Pochi di noi, ascoltando un politico in televisione, riflettono sul fatto che tutte le sue parole sono il prodotto del lavoro di un ufficio stampa e, in generale, di uffici della comunicazione.

Nel corso dell’incontro di questa mattina presso la Sala Lippi dell’Unicredit Banca si è discusso proprio del lavoro di quelle persone che operano in questo mondo sotterraneo, cioè i portavoce dei parlamentari.

Presenti in sala, Monica Macchioni di totalita.it che ha una lunga esperienza nel ruolo e Fabiola Paterniti, anche lei portavoce di Antonio Di Pietro da qualche anno. I loro primi interventi hanno messo in evidenza l’importanza di saper creare una piccola comunità nell’ufficio stampa di un uomo politico, in cui sono fondamentali la capacità di ascolto attivo, la sinergia fra le persone, ma anche una condivisione di ideologia alla base. A questo proposito, Roberto Chinzari del Tg2 che ha condotto il dibattito in sala, chiede di stimare  una percentuale approssimativa di quanto faccia il politico e quanto faccia il suo portavoce nella comunicazione con il pubblico: la Macchioni spiega subito che questo lavoro si basa sulla passione comune per la politica e per il giornalismo, ma è anche vero che per rappresentare una persona e le sue idee, bisogna senza dubbio averne stima e credere in ciò che dice. Fabiola Paterniti va oltre: “Non è possibile lavorare in questo campo senza condividere gli ideali politici, senza essere di parte. Bisogna sì rispettare la deontologia della professione, ma si tratta sempre di giornalismo politico”. Anche perché, se l’immagine della persona politica viene costruita a tavolino, senza che chi se ne occupa ci creda davvero, è qualcosa che traspare e sicuramente il risultato non funziona.

Si è parlato anche della differenza con il passato, del fatto che prima il portavoce era un mediatore tra il politico e la stampa, mentre oggi è un esperto di comunicazione a tutto tondo, che deve avere una buona conoscenza del mondo dei media, dalla carta stampata ai social network.

Particolarmente controverso appare il rapporto con la televisione: entrambe le ospiti sono d’accordo nell’affermare che c’è un problema di credibilità del politico a causa delle troppe apparizioni video trasmesse e da troppe emittenti televisive. A quest’osservazione risponde con un tono critico Pierluca Terzulli del Tg3, che pure ha partecipato al panel: “I politici ed i portavoce sopravvalutano il passaggio televisivo nel cosiddetto pastone. Infatti, oggi la tendenza è cambiata e non si sgomita più per apparire pochi secondi nei telegiornali, semmai per partecipare a programmi che consentono una visibilità ed uno spazio maggiori”.

Lo stesso Terzulli muove una piccola critica alla categoria dei giornalisti: a volte, una debolezza personale o forse le pressioni dall’esterno, oppure il lasciarsi influenzare dal proprio credo politico, porta alla ricerca di scorciatoie o ad un’eccessiva sudditanza e faziosità. Da questo punto di vista è fondamentale ricevere in sostegno della propria redazione, oltre che rispettare l’etica della professione stessa.

Il parere di Tobias Piller, corrispondente estero per la Frankfurter Allgemeine Zeitung, è ugualmente critico verso la comunicazione politica italiana: anche negli altri paesi sembra esserci una diffusa ed ingiustificata necessità di apparire da parte del politico, ma in Italia, in particolare, l’informazione è molto spesso superficiale, in modo da poter essere smentita il giorno successivo. Piller denuncia la mancanza di una fattualità reale, di dati concreti e numeri incontestabili. “Esistono sì editori puri, ma anche quelli che si fanno troppo condizionare dall’alto o dalla prospettiva di carriera. L’atteggiamento banale di accusare sempre quello che non funziona equivale a fare un report di megafono, mentre occorre un’informazione più distaccata ed una maggiore qualità di comunicazione fra i portavoce e la stampa”.

Chiara Vero