Questa settimana in RoundUp: [tweetable]Glenn Greenwald ha deciso di lasciare il Guardian per un progetto finanziato dal fondatore di Ebay[/tweetable]; [tweetable]gli effetti della sorveglianza di massa sul giornalismo, a partire dalle critiche e le pressioni piovute sul Guardian[/tweetable]; [tweetable]ricominciare da capo, giocando sul proprio brand: alcuni casi tra successi e fallimenti[/tweetable]; i consigli per la nuova creatura editoriale, qualcosa di più simile a [tweetable]Twitter - che intanto punta ancora più forte sulle news[/tweetable].
Greenwald lascia il Guardian per un nuovo progetto
Il blogger e giornalista Glenn Greenwald, autore sul Guardian della serie di articoli che hanno finora disvelato lo scandalo NSA e i piani di sorveglianza globale, ha deciso pochi giorni fa di abbandonare la testata inglese per fondare [tweetable]una nuova news company[/tweetable] insieme alla videomaker Laura Poitras e il reporter di The Nation Jeremy Sahill. Entrambi i giornalisti scelti finora si sono distinti in questi anni per un lavoro di reporting ‘impegnato’ e indipendente. Greenwald ha ringraziato il Guardian per l'opportunità avuta così come la testata ha salutato Greenwald augurandogli il meglio, tuttavia il giornalista ha rivelato di aver ricevuto un'offerta che nessuno, nell'ambiente giornalistico, si sarebbe sentito in grado a rifiutare. I tre, più una redazione che dovrebbe coprire un arco tematico piuttosto variegato («from sports to politics», secondo Reuters), saranno supportati economicamente da Pierre Omidyar, fondatore di Ebay, che avrebbe già assicurato una quota di circa 250 milioni di dollari dopo un lungo corteggiamento andato a buon fine solo il 5 ottobre scorso (il suo termine è stato «unire le forze», ma le critiche - come quella di Anonymous - non sono comunque mancate).
La cifra, simile a quella offerta da Jeff Bezos per acquistare il Washington Post, doveva infatti essere originariamente investita nella testata americana (poi acquistata dal CEO di Amazon) per compiacere la voglia di Omidyar di entrare nell'industria mediatica e soddisfare quella che su Poynter è stata definita 'sensibilità giornalistica': [tweetable]«Ho sempre pensato che il giornalismo fatto bene sia una parte critica della nostra democrazia»[/tweetable], ha spiegato a Jay Rosen. Pierre Omidyar è infatti anche il fondatore del Democracy Fund (il cui obiettivo è sostenere a livello globale cause riguardanti media, cittadinanza attiva e trasparenza) e il finanziatore del sito hawaiano CivilBeat. La necessità di allargare il più possibile il raggio dei temi da affrontare è sostanziale, secondo il futuro finanziatore, a una diffusione maggiore della testata («Non può essere un prodotto di nicchia») e quindi a un dibattito più largo sui temi della democrazia e della sorveglianza, quelli che - sempre stando alle parole del creatore di Ebay - lo hanno portato a mettersi in gioco e [tweetable]investire su una creatura editoriale tutta nuova, digital native e non ‘compromessa’ dal punto di vista politico[/tweetable] e editoriale.
Gli effetti della sorveglianza di massa sul giornalismo
Non è infatti una novità che le pratiche di sorveglianza dei governi, e dei poteri in generale, frenino l'operato giornalistico: è quanto confermato anche nella lettera di 15 pagine redatta da giornalisti e ricercatori della Columbia Journalism School e dal MIT Centre for Civic Media, pubblicata in questi giorni anche sul sito del Tow Center for Digital Journalism e intitolata [tweetable]«The Effects of Mass Surveillance on Journalism»[/tweetable]. Casi come quello dello scandalo NSA, che rivelano come i governi controllino flussi di informazioni private, di certo rendono più problematico il contatto fra fonti e giornalisti - malgrado si tratti di rapporti tutelati a termini di legge - fino a contribuire alla costruzione di un clima nel quale la sorveglianza diventa sostanzialmente dannosa per i reporter, «dal momento che le fonti non sanno se sono monitorate, o se si sta intercettando del materiale che potrebbe essere usato contro di loro»: più esplicitamente, spiegano, [tweetable]«l'NSA ha reso le conversazioni private sostanzialmente impossibili»[/tweetable]. La denuncia pubblica è arrivata anche da giornalisti di testate come New York Times, Washington Post, Associated Press, che lamentano un incredibile - e in un certo senso giustificato - aumento della diffidenza nel passaggio e la divulgazione di materiale (protetto o non) verso giornalisti. «La sorveglianza di massa - si legge in conclusione nel post del Tow Center - non è semplicemente un rischio teorico per la libertà di stampa, ma ha conseguenze reali che hanno già impedito a giornalisti di fare il loro lavoro».
La settimana scorsa il Guardian, finora in prima fila per questa causa, ha ricevuto le critiche del Daily Mail che ha definito la testata liberal«giornale dei nemici del Regno», che con «letale irresponsabilità» ha oltrepassato il confine fra cosa dovrebbe essere ritenuto pubblicabile e cosa invece no, in nome di una «sicurezza nazionale» altrimenti minata dalla pubblicazione di «tecniche segrete usate per monitorare terroristi». Il Guardian ha replicato interpellando i direttori e i giornalisti delle maggiori testate a livello mondiale che hanno ribadito il concetto di essenzialità della pubblicazione di notizie di rilevanza pubblica in nome della democrazia. Questa settimana, pochi giorni prima del suo addio al giornale, Glenn Greenwald aveva pubblicato nella sezione CommentIsFree un articolo in cui definiva attacchi come quelli del Daily Mail, o ancora altri come quello di Chris Blackhurst sull’Independent - [tweetable]un «epitaffio per il giornalismo»[/tweetable]: se il giornalista decide di obbedire pedissequamente al potere, accogliendo - per esempio - i suoi 'inviti' affinché alcune informazioni per loro dannose non vengano rese pubbliche, che senso avrebbe parlare ancora di giornalismo? E [tweetable]chi è giornalista, se non qualcuno che lavora anche in funzione di una missione 'ideologica'?[/tweetable] - e da qui il dibattito nel Parlamento americano su chi sia da considerare o meno ‘giornalista’ e chi ‘attivista’, definizioni determinanti per indicare chi sia degno di tutele legali (ne avevamo già parlato qui).
Mettersi in proprio
Da questo punto di vista, è interessante la figura dello stesso Greenwald. Autore che non ha mai collaborato col Guardian come «typical employee of a news organization» (Ben Smith su BuzzFeed), il blogger, attivista e avvocato è infatti l'unico insieme all'amica e collega Laura Potrias ad avere accesso all'intero 'faldone' di informazioni fornite da Edward Snowden. Lo stesso giornalista non ha mai dato libero accesso alla testata per la quale stava pubblicando i leak, i quali, per grande parte, sono ancora in suo completo possesso. Si può quindi pensare che con l'ingaggio di un autore come Greenwald, Omidyar abbia portato a casa una firma ormai di fama, un prodotto ad alto potenziale virale (missione possibile anche per temi ‘impegnati’, stando all’esempio di Upworthy descritto questa settimana sul NYT), un portatore di informazioni sensibili per le democrazie mondiali e l'esclusiva - in qualche modo - della pubblicazione dei prossimi documenti sul caso. Da aggiungere anche che nei mesi precedenti il Guardian aveva ricevuto forti pressioni affinché il giornale non continuasse a pubblicare questo tipo di contenuti per questioni - appunto - di sicurezza nazionale, tanto da portare la testata a condividere il lavoro con altri giornali.
Secondo Jay Rosen, il modello potrebbe essere quello da lui definito «personal franchise model», ossia partire da una riconosciuta personalità giornalistica - sia in fatto di fama che di conoscenza specialistica di una particolare materia - e dalla nota indipendenza da usare come interprete e 'testimonial' del prodotto intero, uno sponsor dello spirito outsider della nuova testata. Lou Carlozo su NetNewsCheck ha analizzato in un lungo articolo le dinamiche, le fortune e le storie di chi si è 'messo in proprio', puntando a [tweetable]farsi brand piuttosto che lavorare per uno già affermato[/tweetable]. Tra gli esempi citati, oltre all'ovvio e già affrontato caso di Andrew Sullivan (per il quale comunque si parla di opinionismo piuttosto che reporting), c'è quello recente di AllThingsD che ha abbandonato il gruppo del Wall Street Journal e quello di Jim Romenesko - ex Poynter e creatore di un sito personale diventato una delle letture preferite di David Carr del NYT - che da solo porterà a casa, a fine anno, 30mila dollari (decisamente meno dei 180mila annui dei tempi di Poynter ma, secondo l'autore, sufficienti per i suoi standard attuali). Nel post vengono analizzati i rischi dell'indipendenza e del self branding, una mossa spesso difficile da sostenere economicamente e che richiede - spiega Romenesko - più di un fallimento prima che se ne possa scoprire il segreto del successo.
Fare come Twitter
Notizie come queste e quella dell'acquisizione del Washington Post da parte di Bezos - commenta l’autore e software developer Dave Winer - possono rappresentare [tweetable]uno «stimolo creativo per il resto dell'industria giornalistica»[/tweetable]. Considerando che il nuovo sito di Greenwald e Omidyar dovrà lavorare su una piattaforma - e per un pubblico - digital in tutti i sensi, l'esempio da seguire secondo l'autore sarebbe quello di Twitter: creare uno stream basato su l'aggregazione di contenuti che diventi una risorsa affidabile e usuale per i lettori, così da creare un rapporto di indispensabilità da entrambe le parti. [tweetable]Non è più un segreto il fatto che Twitter si sia riposizionato a metà strada tra il social network e la piattaforma di news service [/tweetable], e così una nuova creatura digitale, che vorrebbe informare - ma anche prendere posizioni forti - dovrebbe avere il coraggio di innovare saltando l'eredità dei giornali classici e lanciandosi sui flussi, i lettori e la mobilità.
È Twitter stesso, infatti, a muoversi in questa direzione: proprio in questi giorni è stato lanciato il servizio Event Parrot, un account creato dalla società che contatta via messaggio privato i suoi follower distribuendo news dal mondo: [tweetable]una specie di tweetbot personale con alcune delle notizie principali della giornata[/tweetable] per chi ha intenzione di restare aggiornato ma non segue il cosiddetto 'flusso', o si è perso qualcosa. [tweetable]«Follow me to receive direct messages that help you keep up with what's happening in the world.»[/tweetable] spiega la bio di Event Parrot, il primo (insieme all’omologo MagicRecs che registra le attività altrui) e più grande segnale dell'intenzione di Twitter di diventare più news outlet che piattaforma di conversazione. L'azienda, peraltro, starebbe contattando da tempo il capo del settore digital della NBC Vivian Schiller per portarla a San Francisco come Head of News, ma non è la prima offerta a giornalisti (come avevamo già visto) da parte di una società che sempre più chiaramente vuole allargare la sua base, ancora 'piccola' rispetto a Facebook, offrendo a chi non è iscritto un servizio unico e riaffermare la sua egemonia nel settore news rispetto agli altri social network.