La verità e i ‘fatti alternativi’: la sfida del giornalismo del presidente Trump

Quello che stiamo vivendo è il periodo migliore o peggiore per gli organi di informazione? È questo l’interrogativo che apre uno dei più attesi eventi dell’undicesima edizione del Festival. Protagonista Cameron Barr, vicedirettore esecutivo al Washington Post, a moderare ed introdurre il Talk, tenutosi in Sala dei Notari, Lucia Annunziata direttore de l’Huffington Post Italia.
Barr apre il dibattito citando il notissimo caso di cronaca che ha portato Michael Flynn alle dimissioni da consigliere per la sicurezza nazionale, uno degli incarichi più importanti della Casa Bianca. Flynn infatti, in un primo momento, nonostante una delle giornaliste del Washington post si dichiarasse in possesso di fonti che dimostravano che la telefonata tra lui e l’ambasciatore russo Kislyak, in merito alle sanzioni approvate da Obama contro la Russia, fosse realmente avvenuta, continuava a negare. Questo è solo un esempio per dimostrare “quanto il giornalismo possa essere efficace e semplice allo stesso tempo” afferma Barr.  Se qualcosa è vero e si attiene ai fatti tramite fonti affidabili anche un’istituzione così importante non può ostacolare la diffusione di un’informazione, di uno scandalo. Ma allora in un’epoca in cui siamo circondati da teorie di cospirazioni, critiche sui Social Media e forme narrative alternative “La verità conta?" si chiede Barr. “Assolutamente sì è un elemento imprescindibile” afferma e, per argomentare la sua tesi, si rifà a quella definizione di giornalismo che per anni è stata, a suo avviso, azzardata ma efficace: fare giornalismo, e soprattutto giornalismo investigativo, significa diffondere quelle informazioni pertinenti per il dialogo pubblico che un’istituzione vuole mantenere segrete. Ma cosa è realmente cambiato nel modo di fare giornalismo con l’avvento delle nuove tecnologie e soprattutto negli ultimi mesi con Trump? “Negli ultimi anni è stato necessario diventare più visivi, più veloci, sperimentare nuove tecniche migliorando tantissimo i prodotti per i lettori” dichiara. I cambiamenti digitali hanno portato conseguenti cambiamenti creativi, originali: “abbiamo iniziato ad usare di più la prima persona, la forma narrativa, i modi di introdurre articoli con video e ausilio della grafica”.               Trump ha solo acuito la differenza tra ciò che è falso e ciò che è fattuale ma il mestiere del giornalista non è mutato: “Il lavoro che svolgiamo è necessario per una democrazia funzionante, il valore che il lettore attribuisce al nostro giornalismo è essenziale perché è così che li difendiamo dall’abuso di potere”. Lucia Annunziata ha riflettuto sul fatto che, forse per la prima volta, il vincitore delle elezioni per la presidenza statunitense ha vinto, ottenendo parte del consenso popolare, proprio perché ha attaccato le maggiori testate giornalistiche. Chiede quindi “Che ci dice questo di Trump, come è necessario approcciarsi al nuovo fenomeno?”: “È senza dubbio una domanda difficile” dichiara Barr “ma il fatto che lo stesso Trump contatti continuamente le testate per diffondere le sue mosse significa che anche lui ha bisogno della nostra capacità di comunicare con i lettori”. La vittoria di Trump inoltre “Ci ha fatto rendere conto che probabilmente le grandi testate giornalistiche non si sono proprio accorte di cosa stava succedendo nel loro paese. Ogni volta che le persone come Trump ricevono un così grande sostegno non si può non prenderlo sul serio.” La colpa dei giornalisti è quella di non essersi occupati della classe media lavoratrice, frustrata dal cambiamento dell’economia e della società in seguito alla globalizzazione? “Probabilmente si” dice il vicedirettore esecutivo del Washington Post. Afferma inoltre la sua volontà e quella dei suoi colleghi di cercare di coprire con il suo mestiere tutti gli aspetti della società in continua evoluzione, specialmente nell’era di Trump.

Virginia Morini