Lavoro: c’è ancora posto per giovani?

Sala Lippi, ore 15.00

La situazione del mercato del lavoro per i giovani, in particolare nei Paesi del Sud dell’Ue, si sta deteriorando sempre di più. Il tasso di disoccupazione giovanile continua ad aumentare, fino a raggiungere il 50% in Grecia, il 35% in Italia e, notizia di ieri, la sbalorditiva cifra di 6 milioni di giovani disoccupati in Spagna. L’Europa, nel frattempo,  continua a puntare sul modello dell’austerità. Quali sono, dunque, i modelli da perseguire per uscire fuori dalla crisi e dare speranza ai giovani? Questi e molti altri gli argomenti al centro del workshop sul lavoro e i giovani, moderato da Tonia Mastrobuoni, giornalista de La Stampa.
Uno dei modelli migliori è quello nord-europeo, illustrato da Luca Visentini, segretario generale della Confederazione dei Sindacati Europei: “Le politiche europee di austerità hanno peggiorato ulteriormente la situazione, dunque, bisogna essere attenti a scegliersi i propri modelli. E’ vero che la disoccupazione è più bassa in Germania ma ci sono milioni di precari che vivono grazie ad un contributo statale che integra le loro paghe. Credo che quello scandinavo sia il modello migliore da perseguire, c’è più mobilità, più istruzione e sicurezza lavorativa con conseguente crescita economica e lavoro qualificato”. Sul precariato e la mancata difesa dei giovani e dei precari ammette: “Le responsabilità dei sindacati ci sono; in Europa siamo ritardo nell’aiuto ai precari e ai giovani, ma voglio ricordare che i nordici e i tedeschi non iscrivono i precari perché il precariato è da combattere – e sottolinea- la responsabilità è anche delle imprese che non fanno investimenti; il problema non è la flessibilità, ma la mancanza di riforme”.
Anche secondo il Professor Bollino, dell’Università di Perugia, il problema della disoccupazione giovanile riguarda l’austerità e le differenze competitive tra i diversi Paesi europei: “E’ un problema di competizione sul mercato. Il modello tedesco si preoccupa di tener in vita solo il fior fiore dell’industria europea. Il sistema di protezione dalla mancanza di lavoro è orientato, inoltre, verso la protezione degli insider e non degli outsider. Si protegge il lavoratore adulto e in carenza di domanda si fanno fuori i giovani. Per cambiare qualcosa dovrebbe essere modificata la politica monetaria a livello macroeconomico”.
Dello stesso avviso Lorenzo Robustelli, giornalista di EU News: “Le istituzioni europee si sono rese conto del problema già dal 2008, ma non hanno agito  in tempo. Vanno fatte politiche per i giovani ma non bisogna porre il problema a livello di categoria; il problema del lavoro è generale, sistemico e riguarda la stessa idea di società neo-liberista. In Italia, inoltre, manca il ricambio generazionale e non ci sono posti di lavoro; arrivati ad una certa età bisogna andare via e lasciare spazio agl’altri”.
Per Lucio Battistotti, direttore Commissione europea- rappresentanza in Italia, le cause vanno ricercate nell’idea stessa di Europa: “Manca ancora la capacità di avere una visione condivisa del futuro . Noi europei non sappiamo ancora che Europa vogliamo. Dobbiamo inventarci qualcosa per uscire dalla crisi, nuove formule per il futuro come l’autoimpiego e inventarsi del lavoro, magari con l’aiuto dei governi per creare nuove imprese”.
In un contesto così problematico e incerto, per i giovani italiani ed europei, è Carmen Nettis di Eures a dare un po’ di speranza, illustrando i progetti europei futuri per agevolare i giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro: “Nei prossimi mesi partiranno dei progetti, nell’ambito della comunità giovanile europea, volti alla copertura dei cosiddetti colli di bottiglia per combattere lo scollamento attuale che c’è tra domanda e offerta di lavoro- e continua- è stata avviata una collaborazione con altri paesi dell’UE, come Norvegia, Svezia e Germania, su una serie di profili professionali che vanno a coprire i vuoti del mercato; ciò perché, nonostante il tasso di disoccupazione elevato, comunque ci sono professionalità non coperte- e ricorda-  soltanto il 2% dei cittadini europei, però, lavora in paese diverso da quello d’origine. C’è fiducia nella mobilità ma il problema della lingua e le difficoltà a lasciare il proprio paese d’origini è un limite ancora forte. Io consiglio ai giovani di superare questi vincoli e mettersi in gioco, sfruttando canali linguistici differenti”.

Fabio Marcarelli