Centro Servizi G. Alessi, ore 17.00
Nella penultima giornata del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, il Centro Servizi Alessi ha ospitato il panel di discussione “Libertà dei media nei paesi nell’Europa dell’est” organizzato in collaborazione con l’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia e EstOvest, rubrica del telegiornale RAI regionale del Friuli Venezia Giulia. Eva Ciuk, giornalista professionista per la redazione di OvestEst, modera l’incontro che ha come ospiti tre personalità del giornalismo est europeo: Oliver Vujovic, segretario generale SEEMO (South East Europe Media Organisation), Tamas Bodoky, direttore della testa atlatszo.hu, e Marko Rakar, presidente Windmill, ong croata.
Il primo a prendere la parola è il giornalista serbo Oliver Vujovic che racconta come ancora oggi in Serbia ci siano casi di giornalisti attaccati e uccisi: “I paesi che sono entrati nella Unione Europa hanno avuto molti problemi per mettere in regola le loro società con le linee guida occidentale. Molti si sono chiesti se i paesi dell’est hanno davvero bisogno della UE. Bulgaria e Romania hanno ancora gravissimi problemi di sicurezza per l’informazione ma si è preferito favorire altri settori della società come i processi economici, che non devono essere preferiti alla sicurezza dei giornalisti e delle persone”. Vujovic elenca per supportare le sue idee molti casi, ancora oggi irrisolti, di tantissimi omicidi che aspettano ancora oggi giustizia. “Prima di andare oltre, prima di guardare all’Europa, dobbiamo curare i nostri mali interni e capire come migliorare la nostra libertà di stampa. I media sono ancora molto sottomessi al governo e nessuno risponde degli errori che fa. I giornalisti non riportano moltissime notizie per paura di ripercussioni violente a danno delle loro famiglie. Come tutte le famiglie hanno bisogno di denaro e di beni di consumo. I giornalisti, come tutti gli esseri umani, non parlano di molte cose per paura di perdere l’essenziale. Due paesi mi incuriosiscono particolarmente: la Bielorussia, non nell’Unione Europea, e la Turchia che ne fa parte. In entrambi i casi, moltissimi giornalisti vengono imprigionati ma ancora oggi, nel caso della Turchia, l’Europa, dove avrebbe il potere di farlo, non reagisce e non fa nulla perché la situazione cambi ma giornalisti in prigione”.
La seconda storia che il pubblico ascolta con grande interesse è quella di Tamas Bodoky, giornalista proveniente dall’Ungheria, paese al centro di un’acceso dibattito a causa del governo di destra di Viktor Orban. “ La nostra situazione sta diventando molto difficile e la collocherei a metà tra la realtà balcanica, dove i giornalisti vengono repressi, e l’occidente dove vengono rispettati. Negli anni 90 il giornalismo fu molto rispettato per il ruolo svolto nella transizione tra comunismo e democrazia. Poi qualcosa cambiò e la professionalità scese molto velocemente”. In Ungheria oggi non esiste una stampa indipendente e i giornali sono collegati a organizzazioni politiche ed economiche, con obbiettivi diversi dal bene pubblico. “Tre anni fa Orban venne al potere ed emanò subito una nuova legge sulla stampa che ha portato al totale controllo dei media da parte dello stato. Questa legge ha messo paura a tutti i media, sia quelli pubblici sia quelli privati. Anche le pubblicità vengono adesso controllate dallo stato e quindi i media sono sotto ricatto: se la testata non si rispetta il codice dettato dallo stato, non avrà la pubblicità e sarà destinata a chiudere. Questo meccanismo è controllato da una National Lottery: un grande monopolio statale per la pubblicità, solo con i media partner sponsorizzati dallo stato”. La censura che vige oggi nel paese ha portato a una politicizzazione delle pubblicazioni ma la testata fondata da Bodoky sta riuscendo, anche se a fatica, a mantenere una sorta di neutralità: “Noi abbiamo fondato atlatszo.hu per testare la media law e provare giornalismo di inchiesta. Naturalmente, in una sola settimana la polizia cominciò a chiedere chi erano le nostre fonti. Hanno perquisito più volte il mio appartamento e hanno preso il mio hard disk per prendere le informazioni. Nel processo la corte disse che era incostituzionale quello che stava accadendo. Nonostante tutto, fino a questo momento il nostro portale sta crescendo. In Ungheria, oggi chi fa il giornalista rischi di avere tanti problemi legali che rendono la vita impossibile, ma ci sono molti avvocati bravi che ci difendono e in questo modo cerchiamo di andare avanti.
A concludere l’incontro, Marko Rakar, giornalista croato, che ha realizzato un’inchiesta sulle ultime elezioni politiche croate. “In Croazia, per le vicende legate alla guerra degli anni ’90, abbiamo moltissimi problemi a contare quante persone hanno effettivamente diritto di voto. Il numero si aggira intorno ai 3.6/3.7 milioni di persone. Tutti sapevano riguardo il problema del voto. Noi di Windmill abbiamo creato un database con tutti i cittadini e quindi gli utenti possono controllare i votanti nelle loro città e vie. In un paese al confine con la Bosnia, ad esempio, vi era un palazzo con 440 votanti ma, in quel piccolo villaggio, non c’era nessun edificio che potesse contenere tutte queste persone.” La cittadinanza croata è sicuramente piu ambita di altre, ed è per questo motivo che molte forze politiche cercano di attrarre chi non ha la residenza croata: Il partito Croatian Democratic Union concede cittadinanze a chi le richiede e quando arriva il tempo delle elezioni richiede in cambio i voti”. La scoperta di questi fatti ha avuto una valenza positiva per il giornalismo croato: “La stampa croata è sulla buona strada perché siamo liberi di fare il nostro lavoro e ascoltando le storie degli altri giornalisti sono più sollevato. Noi abbiamo altri problemi che condividiamo con altri paesi, sopratutto da un punto di vista economico”. I media in Croazia, dopo la fine della Jugoslavia vi fu un boom di agenzie stampa. Oggi due grande compagnie si dividono il settore della comunicazione, ma non sono croate: la prima è per metà tedesca e si schiera con la sinistra liberale, l’altra è 100% austriaca ed è molto conservativa. Un gran numero di radio locali sono possedute in parte da autorità politiche locali”. Rakar conclude l’incontro rimarcando il filo che collega i giornalisti di questi paesi: “I giornalisti croati sono pagati male, non abbiamo particolari pressioni politiche ma anche in Croazia molti giornalisti hanno avuto problemi a scrivere su alcuni fatti per non andare contro ai loro datori di lavoro. Nell’est Europa esporsi è sempre un grande rischio”.
Daniele Palumbo