Non c’è Ordine senza disordine

Ci addentriamo nel mondo del precariato giornalistico, una macchina tritacarne che nessuna scuola di giornalismo ti preparerà ad affrontare.

di Michele AzzuMarco Nurra

“Loro sono i cazzoni del Festival”, così ci presenta Arianna la mattina all'ufficio stampa. Inutile dire che ci ritroviamo perfettamente nella descrizione. Siamo qui per portare una botta d'allegria alla serietà degli argomenti. Ce la faremo? Se Roberto Formigoni riesce a trattare profondi temi politici con ironia nel suo fantastico format video “Forcaffé”, possiamo farcela anche noi.

Non essendo iscritti all'Ordine dei giornalisti è dura riconoscere un giornalista vero da uno, come si dice, amatoriale? Abusivo? Vedi i tassisti, com'è facile: chi non è iscritto all'Ordine non guida un taxi, scorrazza con la propria macchina palesemente amatoriale. Ma i giornalisti, con loro è più difficile fare distinzione. Marco poi, vivendo in Spagna, si dà arie da europeo e si domanda: “Ma a che serve l'Ordine? Che senso ha? Pensa te che l'Italia è l'unico blablablabla”

Michele invece è più pragmatico: “Col tesserino da giornalista entri al cinema gratis? Perché dopo la chiusura di Megaupload potrebbe essere la svolta... ”

Sono dubbi e domande a cui nessuno dei due sa rispondere.

Ciro Pellegrino in versione maxischermo

Per capirne di più decidiamo di partecipare al primo panel del festival, il meeting dei movimenti dei giornalisti precari. Varcando l'imponente portone della Sala dei Notari scorgiamo la sagoma di Ciro Pellegrino, uno degli autori de Il Casalese (un libro in via d'estinzione). Ciro è un giornalista napoletano precario, in missione a Perugia per trollare le conferenze con cui è in disaccordo. Ha passato settimane a studiare il programma per selezionare i panel nei quali creare polemica. Da buon reality rimaniamo in attesa della rissosa dialettica pellegrina.

Il meeting è ricco di interventi interessanti e appassionati, ma invece di chiarirci le idee sul mondo del giornalismo scopriamo che la realtà è molto più incasinata di quanto pensassimo. Il settore giornalismo può essere una macchina tritacarne: Fnsi, Figepa, Collettivo precari, giornalisti precari, precari ma non troppo, Fagi, precari do it better, Fascap, Figiascap. È un far west a cui nessuna scuola potrà mai prepararti, una terra arida dove il sole batte a picco sulla testa e se pensi sia sufficiente un master in giornalismo per avventurarti in questa giungla... sei fottuto.

Essendo abituati a storie di precariato, di resistenza e di lotta, ci sentiamo a casa nostra. E, diciamocelo, questi giornalisti precari un po' incazzati e combattivi ci piacciono. Ci ricordano i nostri operai. C'è chi viene pagato 1 euro a pezzo. Lordo. C'è chi ha vissuto un mese con la scorta per delle rivelazioni in un pezzo che gli era stato pagato 4 euro.

C'è chi dice: “Bisogna rifiutare i compensi inaccettabili”, ma noi lo sappiamo che rfiutare è un privilegio. Come protestare. Se hai famiglia non c'è diritto che tenga. E infatti arriva un altro intervento: “Rifiutare i compensi non è una soluzione, ma una generalizzazione che non risolve il problema”. Una presa di posizione sembra comune: l'Ordine dei giornalisti deve intervenire. Sui contratti, sui freelance, sui precari, sulle tariffe minime, che non possono essere discrezionali. Come dimostra la recente vicenda di Maxim Italia.

“Marco, 'sto post non fa ridere per un cazzo”.

“E cosa cazzo ti vuoi ridere..."

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