Prendere in prestito strumenti da altri campi per trovare il modo migliore di visualizzare e analizzare i dati, raccontando storie in modo diverso. È questo il data journalism, settore già ampiamente diffuso negli USA e nel Regno Unito e che ora inizia a muovere i primi passi in Italia. Il Festival del Giornalismo quest’anno ospita il ciclo di eventi e workshop School of data journalism, inaugurati oggi con un panel discussion.
Steve Doig, giornalista statunitense e Premio Pulitzer per il suo lavoro sull’uragano Katrina, ha ricordato come il data journalism sia nato dalla contaminazione con le scienze sociali e che molti reporter investigativi siano stati attirati dalla possibilità di basare le storie solo su dati oggettivi, ricavando spunti nuovi e originali. Quando negli USA il data journalism ha iniziato a diffondersi, i computer per analizzare i dati erano grandi mainframe, con una capacità di calcolo decisamente ridotta rispetto agli standard odierni e un'interfaccia complessa che ne limitava l’uso a pochi esperti.
Col tempo, questo settore si è evoluto notevolmente e ha riscosso un buon successo fra i lettori, che hanno gradito iniziative come il Datablog di The Guardian, che pubblica analisi dei dati legati ad eventi di cronaca. Simon Rogers, che dirige Datablog per il quotidiano britannico, ha fatto notare come pochi anni fa lavori di grafica e visualizzazione dati non fossero considerati lavoro giornalistico. Oggi questa percezione sta via via svanendo e “il giornalismo dei dati sta semplicemente diventando giornalismo”. Perciò, è necessario essere in grado di sfruttare al meglio l’enorme quantità di informazioni che ci arrivano anche attraverso la Rete per arricchire la cronaca di nuovi spunti, come fatto di recente con i London riots.
Il lavoro del data journalist oggi – ha sottolineato Sarah Cohen, docente di pratica del giornalismo presso la Duke University – è semplificato dalla diffusione di sempre più numerosi strumenti, che rendono più facile il lavoro dei giornalisti, consentendo di ottenere ottimi risultati anche con poche risorse. A confermarlo anche Aron Pilhofer, direttore delle interactive news per The New York Times, secondo il quale “non è un problema di tecnologia e costi, ma di persone e competenze”, motivo per cui “realizziamo la maggior parte dei progetti con piccoli team di 2 o 3 persone”.
In Italia – ha affermato Elisabetta Tola, fondatrice dell’agenzia formicablu – è appena iniziato il percorso verso la pubblicazione di open data, filosofia che ha avuto come capofila la Regione Piemonte e a cui ha aderito di recente anche l’ISTAT con un portale dedicato. Tuttavia, – ha continuato Tola – “i dati non sono sempre confrontabili, e richiedono molto lavoro manuale”. Di recente, la Fondazione Ahref ha lanciato iData, progetto coordinato da Guido Romeo, giornalista e moderatore dell’incontro, che consentirà di mappare gli strumenti disponibili per il data journalism, mettendoli a disposizione di tutti.
Durante il Festival, inoltre, sarà lanciata anche l’iniziativa Hacks & Hackers, incontro informale in cui sviluppatori, giornalisti e cittadini potranno discutere assieme, contribuendo ciascuno con le proprie competenze.
Pasquale Lorusso