“Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero.” Queste le parole di una lettera di Franco Balbis, partigiano italiano membro del Comitato militare regionale piemontese (CMRP). E’ il 5 Aprile 1944 a Torino; poche ore dopo aver scritto questa lettera, Balbis verrà fucilato a morte da un plotone della Guardia Nazionale Repubblicana.
La voce di Franco Balbis è solo una delle tante testimonianze rimaste dei condannati a morte della Resistenza italiana. Parole che suonano forse utopiche, se si pensa all’Italia odierna; una frase che, sottolinea Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, ancora oggi, “andrebbe mandata a memoria, fatta recitare a tutti i candidati alle cariche pubbliche, agli eletti in parlamento, ai condannati per corruzione”.
Il libro di Aldo Cazzullo - “Possa il mio sangue servire,” che di quelle parole fa il suo titolo -, presentato ieri durante un incontro presso il Teatro della Sapienza, ne raccoglie una parte, storie di uomini e donne tanto diversi tra loro, eppure così simili a giudicare dalle loro parole. Perché, spiega Cazzullo, “le lettere dei condannati a morte della resistenza si assomigliano un po’ tutte. Anche se a scriverle sono stati comunisti, cattolici, monarchici, liberali…”
I temi di alcune delle lettere, che la voce di Claudia Alfonso porta magistralmente sulla scena, sono, insieme ai loro autori, protagonisti sul palco del Teatro della Sapienza. Ci sono le scuse ai propri cari dei condannati per aver anteposto l’amore per la patria a loro, con la convinzione che il loro sacrificio servirà a costruire un’Italia più libera e giusta; c’è l’esortazione di un padre alla figlia, perché questa studi, non solo per se stessa e per una propria elevazione personale, ma “anche per essere più utile nella società”; c’è un inno alla vita, che “vale di esser vissuta quando si ha un ideale, quando si vive onestamente.”
Attraverso personaggi e storie, “Possa il mio sangue servire” racconta quella parte della Resistenza rimasta fuori dai libri di testo, presenta, uno dopo l’altro, molti di quegli uomini e donne che hanno detto no a Nazisti e Fascisti, spesso fino a dare la vita per quella patria che sempre hanno difeso, e onorato, con coraggio.
C’è la lettera di Guidalberto Pasolini al fratello Pierpaolo, la testimonianza di Indro Montanelli, e il ringraziamento del tenente Pietro “Pedro” Ferreira al generale fascista che gli aveva risparmiato la vita. Ci sono storie di donne - tra queste Irma Bandiera, Cecilia Deganutti, Gabriella degli Esposti, Noris “Carmen” Guizzo - che alla Resistenza italiana diedero un contributo straordinario.
Ci sono sacerdoti, colpevoli, agli occhi dei fascisti, di essersi schierati dalla parte dei fedeli, anziché dalla loro, e suore che, a rischio della propria vita, aiutarono e salvarono antifascisti ed ebrei. Ci sono carabinieri, fedeli al re sino all’ultimo, morti fucilati gridando “Viva l’Italia”, e militari, che preferiscono restare nei lager,“umiliati, scherniti … in condizioni disumane, piuttosto che andare a Salò, mettersi al servizio di Mussolini e combattere altri Italiani”. E infine partigiani - vecchi e giovani, comunisti, cattolici, monarchici, autonomi - eterogenea forza di una Resistenza che “appartiene alla nazione, non a una fazione.”
A settant’anni dalla Liberazione, mentre li testimoni se ne stanno andando, è quanto mai importante continuare a preservarne la memoria, a raccontare le loro storie alle generazioni future. “Tocca a noi tramandare la memoria dei loro sacrifici,” conclude Aldo Cazzullo, perché siano di esempio e di stimolo agli Italiani nella loro guerra odierna, “contro la crisi, contro il degrado morale del nostro paese”.
Silvia Maresca