Il talk show al tempo di Monti
Dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi i media hanno fatto i conti con quello che in realtà già sapevano. Per quindici anni il leader del centrodestra ha contribuito al dibattito pubblico italiano semplicemente con il racconto di sé, con il solo fatto di essere in scena: dal conflitto di interessi a Mills, da Ruby al Milan, dai Telegatti alle gaffe internazionali. Berlusconi ha reso superfluo il parlare d’altro. Così, il dibattito su Berlusconi, la contrapposizione frontista tra centrodestra e centrosinistra ha finito con il determinare un tipo di discussione televisiva che col tempo si è logorata: argomenti usurati, facce sempre identiche, molta autopromozione, molta propaganda, poca riflessione. Secondo alcuni osservatori i dibattiti in tv sono serviti più a far emergere facce televisive dalle seconde linee delle forze politiche che non ad aiutare i telespettatori alla comprensione dei temi reali e dei problemi con cui è alle prese il paese. A questo ha concorso anche la cultura Auditel della nostra tv, privata e pubblica. La ricerca dell'ospite sopra le righe per catturare audience, lo scontro in studio, la contaminazione dei generi, a volte la spettacolarizzazione del ruolo del conduttore, la drammaturgia dialettica dello show. In che modo evolverà l’approfondimento televisivo? Quanto la natura tecnica della crisi con cui abbiamo a che fare, l’emergenza delle riforme da realizzare e il consenso che richiedono spingerà la tv a essere meno spettacolare e più divulgativa? Oppure questo non succederà e resterà tutto come prima?