Nel 2014, il Mediterraneo è stato ribattezzato dall’Agenzia Onu per i rifugiati ‘la rotta piu’ letale’: circa 3,419 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. La crisi umanitaria non sembra arginarsi. I dati degli ultimi mesi, piuttosto, mostrano nuovi picchi di emergenza con l’intensificarsi dei conflitti in Africa e nel Vicino Oriente, l’avanzata dell’ISIS e la chiusura dell’operazione di soccorso Mare Nostrum.
Il dibattito sugli sbarchi di migranti irregolari e sull’impatto dell’immigrazione sui paesi europei continua a dominare le pagine dei giornali internazionali. Sensazionalismo, inaccuratezza, toni e linguaggio allarmistici, però, restano purtroppo una costante in buona parte della copertura mediatica di questi temi. Tutto questo, mentre in Europa aumentano retorica xenofoba e attacchi violenti contro gli immigrati.
È possibile raccontare l’immigrazione in maniera diversa? Qual è il ruolo dei giornalisti nell’incentivare un dibattito più bilanciato? Negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di activism journalism: in che modo i giornalisti possono collaborare con gli attivisti senza venir meno ai codici deontologici e ai principi della professione? E qual è il ruolo delle redazioni nel marginare la retorica razzista nei commenti sui giornali online?