Dagli Stati Uniti all'Europa, dal caso Wenstein al movimento #metoo: un terremoto ha abbattuto il muro di omertà che fino ad allora aveva coperto molestie sessuali e abusi. Le donne hanno preso la parola, e un'ondata di denunce e rivelazioni ha colpito industria cinematografica, mondo dell'informazione e politica, mettendo in discussione il maschilismo imperante, troppo spesso taciuto o assecondato, e una visione predatoria dei rapporti di lavoro.

E In Italia? Nel nostro paese, nonostante alcune denunce, come quelle di Miriana Trevisan e delle attrici intervistate da Dino Giarrusso per la trasmissione Le Iene, e nonostante l'analogo hashtag #quellavoltache lanciato da Giulia Blasi, il dibattito si è incentrato soprattutto sulle vittime, all'insegna del discredito. "È maccartismo sessuale", "Perché non hanno denunciato all'epoca?", "Potevano dire di no", "Parlano per ottenere visibilità": sono solo alcune della frasi che hanno scandito una sorta di rimozione collettiva. Perché in Italia il muro dell'omertà non è stato scalfito dalle denunce? Una donna che sul lavoro subisce molestie, ricatti sessuali o stupri è condannata al silenzio, alla vergogna e al senso di colpa, o è possibile aprire degli spiragli di denuncia che portino a cambiamenti concreti?

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