In migliaia fuggono ogni mese da quello che viene definito “il regime più sanguinario” d’Africa e, una volta all’estero, gli eritrei raccontano storie inenarrabili di arresti e torture perpetrati da un regime la cui logica è punire chiunque si rifiuti di rimanere al suo servizio a vita. Nonostante i racconti di chi scappa, l'Eritrea e la sua storia di guerre e repressione restano poco raccontate. Anche lo storico accordo di pace che il regime di Isaias Afewerki ha firmato con l'Etiopia nell'estate del 2018 non ha portato ad alcuna apertura da parte del regime sul piano della politica interna. “La pace esterna” la chiamano gli eritrei all’estero. Infatti già nella primavera del 2019 tutte le frontiere lungo il confine con l’Etiopia sono state chiuse. Una misura necessaria per il regime per bloccare l’emorragia di uomini e donne i quali, approfittando del passaggio sicuro, sono fuggiti in massa. Nel frattempo l’Unione Europea ha già stanziato una linea di fondi per grandi progetti nel paese del Corno d’Africa, costringendo all’oblio le richieste di aiuto dei dissidenti eritrei per un futuro democratico del Paese.