Dal regime dei talebani a quello degli Ayatollah. Dalle proteste fuori dall’Università di Kabul, da cui le donne sono state espulse, alle rivolte scoppiate a Theran dopo l’uccisione di Mahsa Amini.
Lo storico slogan delle donne curde “donna, vita, libertà!” è diventato un grido collettivo di resistenza e dignità anche in Iran: superando i confini, ha ricordato al resto del mondo come l’oppressione delle donne sia una componente strutturale dei regimi. Come detto dall’attivista Nazanin Boniadi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, “La coercizione che viola i diritti umani non ha posto in nessuna cultura e gli iraniani stanno rischiando tutto perché il mondo capisca”.
Ma se le immagini di rivolte e repressioni scuotono l’opinione pubblica nei momenti più drammatici o cruenti, l’eco di questa attenzione si esaurisce facilmente. Restano invece i drammi umani, la discesa all’inferno dell’Afghanistan sotto i talebani, la paura di persecuzioni e gli innumerevoli tentativi di mettersi in salvo. Storie come quella della rifugiata afghana Aqela Sadet, sopravvissuta agli abusi del marito tornato libero con la presa del potere dei talebani, sono la terribile normalità che quasi mai raggiunge gli schermi d’Occidente.
Cosa si profila all’orizzonte di questi due paesi? La comunità internazionale li sta lasciando a sé stessi, oppure sta facendo tutto il possibile?
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