Radio, tv, internet: il futuro del giornalismo sportivo

Dove sta andando il giornalismo sportivo? E, soprattutto, sta andando in una buona direzione? Sono stati questi due interrogativi a fare da traccia all'incontro dal titolo “Radio, tv, internet: il futuro del giornalismo sportivo”, svoltosi giovedì pomeriggio al Teatro Sapienza di Perugia.
Il talk, condotto da Giorgio Matteoli (Tgr Rai), ha visto confrontarsi al tavolo degli speaker Riccardo Cucchi (Radio Rai), Eleonora Trotta (Calciomercato.it) e Pierluigi Pardo (Sport Mediaset). Tre giornalisti sportivi che lavorano con media diversi, rispettivamente radio, web e televisione, e che di questi media hanno tentato di analizzare specificità e differenze. “Del web si sottolinea, giustamente, il carattere interattivo”, ha esordito Cucchi “ma non bisogna dimenticare che il primo mezzo ad aver sperimentato l'interazione coi suoi fruitori è stato la radio. È inoltre uno strumento che dimostra un'estrema duttilità: noi, per esempio, andiamo in onda in fm, ma anche in streaming. La radio è uno strumento molto moderno e di fatti i suoi ascoltatori sono in aumento”. Cucchi ha poi introdotto un concetto che in seguito ha tenuto a ribadire a più riprese: il giornalista sportivo è innanzitutto un giornalista e, come diceva Enzo Biagi, il giornalista deve essere il testimone della realtà. Il suo obbligo, di conseguenza, è dare notizie che siano vere, o meglio, che siano notizie (propriamente dette). Notizie “senza condizionale”. Su internet, ha continuato Cucchi, si trova un'enorme quantità di notizie, ma sono notizie che spesso, con la stessa facilità con cui vengono pubblicate, vengono anche ritirate in quanto false. Bisogna leggere ciò che si trova su internet con occhio critico, perché il web molto spesso gioca con la credulità delle persone.
Pardo ha precisato: “il problema delle notizie 'frettolose' è però un po' di tutto il giornalismo, non solo di quello online. Anche quello old school non ne è esente, purtroppo. A mio parere, inoltre, compito del giornalista sportivo non è solo informare, ma anche far divertire. Abbiamo la fortuna, col nostro lavoro, di maneggiare un oggetto bellissimo: la passione delle persone. Noi 'flirtiamo' con questa passione. Non trasmettere gioia ai nostri spettatori sarebbe un delitto”.
“Sono d'accordo”, ha commentato Trotta. “Dobbiamo tenere conto della passione di segue il nostro lavoro: è doveroso a volte, per seguire l'interesse degli spettatori, privilegiare certe notizie anziché altre. Il calciomercato, di cui mi occupo, è seguito soprattutto perché fa sognare e fa sperare”. A questo punto però Cucchi ha domandato, provocatoriamente: “Cosa dovrebbe fare il giornalista, seguire l'onda emotiva del pubblico? Questo è un errore. Se, per esempio, uno dei miei telecronisti venisse influenzato, durante il suo lavoro, dai feedback che riceve da twitter, mi arrabbierei molto”.
“Io invece ritengo che avere sempre un occhio sui social sia importantissimo per chi fa il nostro mestiere”, è intervenuto Pardo. “Dai social possiamo trarre indicazioni utili anche per migliorare il modo in cui lavoriamo. Faccio un esempio personale: mi è capitato, dopo avere espresso un concetto in trasmissione, di leggere un tweet di un utente che criticava ciò che avevo appena detto. Ho quindi realizzato che, probabilmente, non mi ero espresso in modo corretto e ho provato a riformulare il mio concetto in modo migliore”.
I tre speaker hanno comunque concordato sul fatto che il presente e il futuro del giornalismo sportivo non deve essere caratterizzato da una guerra tra diverse forme di giornalismo, old e new school. Se la “competizione” tra i vari media rimane una sana gara verso l'alto, che tiene come valore imprescindibile la credibilità del giornalista, allora i cambiamenti che la professione si trova e si troverà inevitabilmente ad affrontare non potranno che essere virtuosi.

Daniele Conti