“Prima di quest’anno pochi sapevano della data del 17 marzo”, una festa da molti osteggiata con “motivazioni finanziarie ridicole, mentre nessuno ha detto nulla dei 300 milioni di euro buttati dalla finestra per non aver scelto l’election day”. Parola di Sergio Rizzo, giornalista del Corriere, intervenuto ieri in un panel sui 150 anni dell’Unità d’Italia, organizzato da Matteo Marchetti e Luca Sappino di Radio Popolare Roma nell’ambito del Festival del Giornalismo.
Il 17 marzo è stata un’occasione – ha aggiunto Giuseppe Monsagrati, docente di Storia del Risorgimento all’Università La Sapienza di Roma – che ha avuto il pregio di “non essere una rievocazione trionfalistico-celebrativa e per la quale il Presidente Napolitano si è impegnato moltissimo”.
Prima dell’Unità d’Italia fra nord e sud c’era un enorme divario sociale, differenze notevoli nei trasporti, nel livello di istruzione e nelle percentuali di mortalità infantile – ha dichiarato Rizzo, che ha poi stroncato l’affermazione del Ministro Calderoli, secondo cui “Padania e Mezzogiorno stavano benissimo prima di Garibaldi”.
Questo divario – ha continuato il giornalista del Corriere – oggi ha raggiunto il massimo storico e non basta un piano per il Sud per compensarlo.
Conferma anche Monsagrati, che racconta come “la condizione del Mezzogiorno prima dell’Unità fosse paurosa. Lo stato meridionale era il luogo del centralismo con baricentro Napoli” e c’erano tensioni fra siciliani e napoletani.
Ad ogni modo, oggi in occasione delle celebrazioni il sentimento di unità nazionale si è diffuso molto. A conferma di ciò anche “il territorio a più alta densità leghista era pieno di bandiere italiane”, ha testimoniato Rizzo, riferendosi al Veneto, aggiungendo che “la modernità oggi passa per l’unificazione e che la diversità dell’Italia è la sua ricchezza, perciò è una follia pensare di farla a pezzi”.
Monsagrati ha in seguito introdotto il tema della bellezza, “venuta a mancare come aspirazione del Paese”. Per questo motivo si è iniziato a costruire senza pianificazione ed oggi – gli ha fatto eco Rizzo – “il 7,6% del territorio italiano è artificiale, una superficie pari all’estensione della Toscana”.
Secondo il docente della Sapienza, per invertire questa tendenza “occorre la volontà di autoaffermazione che può rilanciare la vitalità del Paese, al momento spenta”.
“In questo periodo l’Italia con la luce spenta va a tentoni e a volte mette i piedi nei posti sbagliati”, – ha concluso Rizzo – ma pur senza diamanti e petrolio, con la bellezza, la creatività e l’intelligenza possiamo ripartire.
Pasquale Lorusso