Nel sistema media-e-giornalismo quella appena trascorsa è stata la settimana di Twitter. In questi giorni il social network di San Francisco ha infatti deciso di rendere pubbliche - seguendo l’esempio di Google - le pressioni ricevute dai governi in questi mesi per ottenere informazioni riservate degli utenti. Non a caso il periodo scelto per la pubblicazione di questo "Transparency Report" è proprio quello in prossimità della festività del 4 luglio, una mossa che tende a sottolineare - fa sapere la corporation - quanto sia importante «che i governi rimangano responsabili e trasparenti nei confronti della libertà d'espressione». Il documento riporta così tutte le richieste ricevute dall’inizio del 2012 al 30 giugno: si tratta di dati su singoli user e di sollecitazioni per l'oscuramento di materiale coperto da copyright, come previsto dal DMCA (Digital Millennium Copyright Act) statunitense. Si scopre così che Twitter ha ricevuto più pressioni dai governi nella prima metà del 2012 che in tutto il 2011, e che sarebbero arrivate in totale ben 849 domande, soddisfacendone - dove possibile - il 63%.
L'intenzione è, chiaramente, mostrarsi volenteroso tramite fra autorità e liberi utenti, ma il tentativo non è bastato a evitare critiche. Piuttosto scettico si dice Mike Isaac su AllThingsDigital, che parla addirittura di «Passo in avanti e due indietro: è così che chiamerei, con accurata sintesi, lo scadente lunedì di Twitter». E ne spiega le ragioni: sebbene per il Legal Policy Manager del social Jeremy Kessel si tratterebbe di qualcosa di cui poter andare fieri, un modo per dare «consapevolezza, sensibilizzare e mantenere tutte le parti in causa - noi compresi - più responsabili», Isaac nota la beffarda e quasi comica sovrapposizione temporale degli eventi, che proprio quel lunedì riportano - anche - di una battuta d'arresto nel caso che coinvolge Twitter nella richiesta di informazioni riservate di uno dei suoi iscritti da parte del procuratore distrettuale di New York.
Il giudice della corte penale della contea di New York Matthew Sciarrino Jr ha infatti ritenuto Twitter responsabile per i tweet dell’utente Malcom Harris in concomitanza con l'occupazione e lo sgombero del ponte di Brooklyn durante le proteste di Occupy Wall Street, esigendone la consegna. Transparency Report o meno, «ciò che rendi pubblico appartiene al pubblico», è scritto nella sentenza: «La Costituzione ti dà il diritto di pubblicare, ma ci sono ancora delle conseguenze» - finora inutile, peraltro, l'invocazione del Primo Emendamento. E la cosa rischia di diventare un pericoloso precedente: se Twitter è responsabile, e gli utenti non possono difendersi da soli contro le citazioni in giudizio, allora l'onere della difesa passerebbe alla stessa corporation, un gigante da 140 milioni di utenti attivi, tutti potenzialmente "scorretti" e non direttamente responsabili dei tweet prodotti. Certo, si difende la società, dalla lettura dei termini di servizio emerge chiaramente come i contenuti degli utenti appartengano solo a loro. Ma la consegna delle informazioni richieste da governi e corti, e i precedenti giuridici, rischiano gravemente di contraddire questa affermazione.
Curiosità, sempre attorno al Transparency Report: Mediabistro ha dato un'occhiata a Chilling Effect, la pagina di segnalazioni messa a disposizione per i DMCA takedown, le violazioni di copyright. Trovando una denuncia del cofondatore di Twitter Jack Dorsey: la causa, l'uso indebito del marchio registrato della sua nuova start up, Square, da parte di terzi. «E se non sono in contatto loro, con Twitter, allora chi altri?», ironizza l’autore del post.
Degne di nota le novità dal punto di vista commerciale. Pare che il social incassi più dalle inserzioni pubblicate sulla versione mobile che sul sito desktop, e che queste risultino straordinariamente più cliccate. Una “nuova frontiera", quasi insperata. Il 55-57% degli utenti Twitter è mobile, ha spiegato di recente il Ceo di Twitter Dick Costolo al Financial Times. «Quando sei attivo su Twitter via mobile lo usi di più che da utente desktop». L'intenzione, adesso, è fare di Twitter una «mobile-first company» - niente di nuovo - sfruttando la forza stessa della piattaforma: «Le nostre inserzioni sono tweet, proprio come i contenuti degli utenti. Arrivano ovunque arrivino i tweet, calzano a pennello, in un modello mobile». E pare funzionare: il Wall Street Journal fornisce dati eloquenti sulla campagna della catena P.F. Chang's China Bistro: in quattro giorni l'inserzione pubblicata è stata cliccata da circa un milione di persone. Il 70% di queste da mobile.
Prima il mobile, prima la pubblicità. Evoluzione nella strategia del social network? L’idea, a leggere da quanto riporta Matthew Ingram su GigaOM, sarebbe preferire definitivamente il modello ad-based a quello della piattaforma aperta, considerando i recenti sforzi dell'azienda per introdurre espedienti commerciali come promoted tweet, promoted trend e expanded tweet per partner come Coca Cola e Mtv. Dalton Caldwell, Ceo e fondatore di App.net, sul proprio blog parla di vera e propria "lotta intestina" dentro Twitter: «Da quanto ho capito, c'è stato un dibattito interno molto divisivo fra gli impiegati, negli ultimi tempi. Da una parte chi voleva sviluppare l'intero business attorno al mercato delle API» - ossia quella serie di comandi messi a disposizione da servizi come i social network per poter far interagire le loro applicazioni con altri siti o software - «dall'altra parte, chi vedeva di buon occhio il modello pubblicitario di Google, intenzionati a costruire una loro versione del sistema AdWords». Avrebbero vinto gli ultimi: Caldwell, annota, si imbatte spesso in tweet promozionali. E infastidito, gli piace pensare a come sarebbe andata se avessero vinto i "fan" delle API e del sistema “aperto”.
Sconfitta e cambio di filosofia, d’altronde, sembrano evidenti: su AllThingsD è stato fatto notare come solo di recente Twitter abbia posto fine alla propria syndacation partnership con LinkedIn, il social network tagliato su misura per il mondo del lavoro. Niente più integrazione dello stream sul profilo personale e scomparsa di tutte le feature correlate. «Per far sì che l'esperienza Twitter risulti più facile da capire, che siate su Twitter.com o altrove nel web», è la giustificazione del Consumer Product Lead Michael Sippey. Il sospetto però è che Twitter adesso voglia che tutto funzioni "a modo suo": e allora si parla di strade destinate a incrociarsi con Flipboard - che già prevede una consultazione "concorrenziale" delle timeline - e Hootsuite - che non a caso ha di recente portato a casa l'integrazione di servizi alternativi o complementari come Slideshare e Instagram -, e si rievocano le ultime acquisizioni della company californiana, come l'acquisto di altre applicazioni che ne consentivano l'utilizzo e la consultazione come "terze parti" - Summify e Tweetdeck su tutte. Difficile mantenere vivo e profittevole un progetto come open platform, è il senso: col crescere di numeri e rilevanza mediatica, Twitter sembra avere intenzione di controllare sempre più - e sul proprio terreno - l'esperienza dei propri utenti. Che siano legittimi proprietari dei loro tweet o meno.