Twittando la primavera araba: catturare la Storia, 140 caratteri alla volta

Twittando la primavera araba: catturare la Storia, 140 caratteri alla volta era il titolo dell'evento che racchiude già tutta l'essenza del keynote spreech che, nella terza giornata del Festival, ha ospitato Andy Carvin, giornalista del National Public Radio dal 2006. È considerato uno dei migliori twitt reporter con oltre 41 mila persone che lo seguono per ottenere notizie riguardanti principalmente il Medio Oriente.

Nella location del Teatro Pavone ha raccontato il proprio approccio ai social media, in particolare a Twitter e ha fatto riferimento al lavoro svolto con questo mezzo di comunicazione mentre sbocciava la primavera dei paesi arabi. Si è iscritto a Twitter nel febbraio del 2007 incuriosito dalla possibilità di poter diffondere informazioni e notizie in tempo reale. Ha ricordato la pubblicazione del suo primo twitt sorridendo per la banalità del contenuto e riconoscendo che la maggior parte degli utenti tende a condividere i momenti essenziali della propria giornata: cosa ha mangiato, dove è andato, cosa ha fatto e con chi.

Anche lui ha avuto questa disposizione iniziale; le sue maggiori condivisioni riguardavano, per esempio, i frequenti ritardi dei voli che doveva prendere. La consapevolezza dell'efficacia del media che usava gli è arrivata proprio durante un'attesa in aeroporto: collegato su Twitter è venuto alla conoscenza di un attentato in Pakistan che ha visto la conseguente morte di Benazir Bhutto, figlia del deposto primo ministro pakistano. Fu questo il momento in cui comprese che aveva tra le mani un potente mezzo di comunicazione e decise di iniziare a utilizzarlo in maniera diversa e costruttiva per far conoscere in tempo reale quello che accadeva a milioni kilometri di distanza.

Dopo pochi anni, nel dicembre del 2010, Carvin segue minuziosamente l'episodio che oramai viene designato come quello che dà inizio a quella che viene definita "la primavera araba". L'episodio di riferimento è quello verificatosi il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid, cittadina tunisina dove il venditore ambulante Mohammed Bouazizi si dà fuoco dopo che la polizia gli ha sequestrato la mercanzia. Per poterla riavere, gli viene chiesto di pagare una tangente. Il giovane si rifiuta e il 4 gennaio 2011 si uccide. Questo gesto disperato diventa il simbolo di un Paese che inizia a protestare contro il regime.

Carvin si serve di 140 caratteri alla volta per diffondere quello che nessun blogger raccontava. Nell'arco di soli 4 mesi la situazione si presentava difficilissima tanto che anche il primo ministro fu costretto a lasciare il Paese. Il ruolo di Twitter fu decisivo anche per identificare i cecchini e per consigliare i luoghi dove potersi rifugiare e quelli che dovevano assolutamente essere evitati perché rischiosi. Il twitt di un arabo ha sfidato il resto del mondo a ribellarsi ai regimi e a fare quello che avevano fatto gli arabi. Passati appena 18 giorni, si è assistito al rovesciamento dell'Egitto seguito dalla rivoluzione libica.

L'esperienza di Carvin va oltre al seguire semplicemente i tweet degli amici mediorientali quando decide di andare personalmente a vedere quanto stava accadendo. Si è trovato coinvolto in una sparatoria e nei lanci di gas lacrimogeni. Talmente stordito dall'intorno, non riusciva a capire esattamente cosa stesse succedendo e solo quando si è collegato su Twitter ha avuto modo di realizzare quanto aveva vissuto.

Da qui nasce la riflessione e la distinzione che c'è tra il giornalismo tradizionale e quello fatto sui social media. Il primo è un giornalismo diretto, emozionante, ma che limita la visione della realtà a quella che si vive in quel preciso istante; il secondo dà una visione più ampia. Naturalmente non c'è un giornalismo che sia migliore dell'altro; l'ideale sarebbe che entrambi convergessero.

La rivoluzione araba esplosa 15 mesi fa  viene oggi, spesso, identificata con la rivoluzione di Twitter. Nulla di più sbagliato e offensivo per tutte quelle persone che hanno rischiato la propria vita e per tale motivo Andy Carvin rigetta tale definizione e se ne allontana drasticamente.

Sabrina Pugliese