Vorrei dirti che non eri solo

La presentazione del libro di Ilaria Cucchi, "Vorrei dirti che non eri solo", è stata aperta dal giornalista del Corriere della Sera, Giovanni Bianconi. La storia di Stefano Cucchi è stata scritta dalla sorella, con l'aiuto di Bianconi. Ilaria ha voluto raccontare la vita del fratello anche prima dell'arresto. La sua morte rientra tra le  centosettanta morti che si verificano all'interno delle carceri, in media ogni anno. Una cifra non indifferente che pone senza dubbio una riflessione. Oltre a Stefano sono state illustrate altre storie. La madre del diciottenne,  Federico Aldovrandi, morto a seguito di un fermo dei carabinieri, mentre faceva rientro a casa, dopo l' uscita del sabato sera, ha raccontato la morte del figlio e le vicissitudini successive. L'arresto di Giuseppe Uva è stato sentito dalla testimonianza della sorella Lucia. L'uomo è stato ridotto in fin di vita dopo tre ore dall'arresto. Ai familiari è stato consegnato un corpo tumefatto in ogni sua parte. E infine, il giornalista delle Iene, Mauro Casciari, ha ricordato, con la proiezione di un servizio, la morte del 44enne Aldo Bianzino. Il falegname perugino era stato arrestato per produzione di canapa nel giardino di casa ed è morto dopo trentasei ore, sempre in carcere. Tutte storie di persone che consegnate alle Istituzioni non hanno più fatto rientro a casa. Il dibattito ha posto la riflessione su come possa accadere che dopo un arresto  si possa morire. Come a voler dire che queste stesse persone possano subire da parte dello Stato non solo la restrizione della libertà ma anche la perdita dei diritti fondamentali alla vita. Questi casi sono infatti "delitti di Stato". Diversi nella loro particolarità individuale ma con un unico denominatore comune, la mancanza di tutela e l'abuso di potere.  Per Ilaria Cucchi,<<qualunque siano state le concause, lo Stato è responsabile. Non può esistere l'impunità per chi commette certi soprusi.Non doveva andare così. Dentro il carcere dovremmo essere sicuri che non si debba morire". Il giornalista di La Repubblica, Carlo Bonini, ha tentato di spiegare le difficoltà, dei giornali a raccontare queste storie. <<L'attenzione pubblica è essenziale per diseppellire questi casi. Dentro i giornali si presentano spesso limiti oggettivi - dice Bonini-. La notiziabilità non sempre regge di fronte a certi avvenimenti. Questo fino a quando, il fatto non diventa uno specchio fedele del senso comune di cosa sia diventato questo Paese. Nonn possiamo dire che questi uomini se la sono andata a cercare. Non è sempre così. Purtroppo, la giustizia penale percorre un doppio binario e segue un doppio regime di cittadinanza. Non possono esistere cittadini di serie "B", ai quali la giustizia sferra il rigore, la ferocia dell'azione penale. Come mai questo non accade ai rampolli della società? La questione è molto seria. Da cittadini diventiamo sudditi e vittime di un sistema autoreferenziale>>. Per Casciari, <<i media possono fare tanto. Riescono infatti a rompere l'isolamento in cui le famiglie delle vittime si trovano. E poi, non può accadere che nelle carceri il sistema di videosorveglianza possa funzionare ad intermittenza. Questo non tutela né le guardie carcerarie né i detenuti. In pochi secondi potrebbe tra l'altro verificarsi di tutto>>.

Giusy Cantone