Intervengono:
Justin Arenstein, giornalista investigativo
Lorenzo Bagnoli, giornalista freelance
Alessia Cerantola, co-fondatrice IRPI
Miranda Patrucic, OCCRP
Giovanni Pellerano, co-fondatore Centro Hermes
La discussione legata al “whistleblowing” e alla protezione delle fonti continua durante la quarta giornata del Festival Internazionale del Giornalismo 2015, con l’incontro “Whistleblowing the world”.
Ad introdurre il panel è Giovanni Pellerano, ingegnere informatico co-fondatore del centro Hermes, che si occupa dello sviluppo di tecnologie per la trasparenza dell’informazione. In questo ambito è da collocarsi la creazione di GlobalLeaks, piattaforma di whistleblowing volta ad essere utilizzata per qualsiasi tipo di iniziativa, offrendo uno spazio di ricezione alle segnalazioni in forma anonima delle fonti. Nato nel 2010, in parallelo all’emergere del fenomeno “Wikileaks”, il progetto segue l’approccio del sito creato da Julian Assange per replicarne le iniziative a livello locale, affrontando questo tipo di problemi “in modo più diretto ed efficace”.
La parola passa poi a Lorenzo Bagnoli, giornalista freelance che inizia con lo spiegare che il contesto in cui si colloca il fenomeno del whistleblowing in Italia vede un problema di termini - la parola “whistleblower” ha, nel nostro paese, un’accezione prettamente negativa - e un problema di regole. E’ la legge 190/2012 del piano nazionale anticorruzione a stabilire “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” in Italia, tuttavia le città e i comuni del nostro paese mancano di uffici che se ne interessino, con la sola eccezione del comune di Milano. Bagnoli presenta quindi il progetto da lui lanciato nel giugno 2014, “EXPOLeaks”, spiegando le motivazioni che lo hanno generato: in primo luogo l’importanza - per la città di Milano e per l’Italia tutta - dell’evento e i grandi investimenti pubblici volti a finanziario; quindi l’inchiesta sulle tangenti emersa a maggio di quest’anno, con la quale “l’Italia sembrava ripiombare ai tempi di Tangentopoli”. Bagnoli conclude con alcuni commenti sulla situazione del whistleblowing in Italia. Il suo timore, dice, è che si crei “una bolla delle piattaforme di segnalazioni anonime”: “stiamo moltiplicando le piattaforme, non i segnalatori,” per questo bisogna trovare un modo per integrarsi a livello internazionale su questo tipo di lavoro, per non alimentare un tipo di concorrenza nocivo. Sottolinea quindi l’importanza dei network, per sopperire al calo di credibilità dei giornalisti, di cui i cittadini si fidano sempre meno.
E’ quindi il turno di Alessia Cerantola, co-fondatrice di IRPI (Investigative Reporting Project Italy), che presenta un quadro del whistleblowing in Giappone, dove la libertà di stampa sta andando verso una situazione sempre più preoccupante. Dalla fine del 2013 è stata infatti approvata nel paese una legge per proteggere i segreti di stato; un whistleblower rischia fino a 10 anni di prigione, 5 anni il giornalista che rivela la soffiata. “L’effetto peggiore è la paura, perché i Giapponesi si censurano ancora prima” di parlare, per non incorrere in eventuali ritorsioni. Alcuni giornali, però, stanno comunque supportando il whistleblowing, opponendosi alle leggi di stato che ne limitano l’azione.
Uno spaccato della situazione del whistleblowing in Africa è fornita da Justin Arenstein, giornalista investigativo ed editor per l’ “African Eye News Service” (AENS). Arenstein espone il progetto ANCIR (African Network of Centers for Investigative Reporting), fondato nel 2014 per garantire sicurezza e protezione alle comunicazioni tra i giornalisti e le loro fonti riservate. I loro successi includono lo smascheramento di compagnie responsabili di evasione di miliardi di dollari in tasse e storie sotterranee di crimine organizzato, la più recente delle quali intitolata “Mafia in Africa”. Il loro modo di operare consiste nell’utilizzo di una tecnologia centralizzata che convoglia tutti i “leaks” in un computer, dove un software li analizza per verificarne l’autenticità, senza, però, svelarne l’autore. I whistleblowers hanno la possibilità di inviare le loro informazioni a più di un media, favorendo la co-operazione tra questi per smascherare e risolvere questioni di interesse pubblico.
Ultimo intervento è quello di Miranda Patrucic, reporter investigativa e editrice regionale per OCCRP (Organised Crime and Corruption Reporting Project). Il discorso della giornalista tocca i temi della protezione delle fonti, dando a riguardo alcuni consigli pratici: incontrare le fonti in luoghi sicuri, lontano da occhi indiscreti; fare particolare attenzione alle telefonate, usando una SIM card comprata per l’occasione e di cui, in seguito, bisognerà sbarazzarsi; mantenere la riservatezza su quanto possa permettere l’identificazione della fonte. La Patrucic sottolinea infine l’importanza di mantenere una vena di scetticismo, importante per verificare in maniera chiara la provenienza e credibilità di ciascun leak, e di costruire un legame di fiducia con i whistleblower, senza far loro pressione e dando loro potere di decidere “quando e a quale ritmo rivelare le informazioni”.
Silvia Maresca