“Essere giornalisti in Siria significa subire costanti pressioni e minacce di tortura”. E’ fortemente teso e toccante il racconto di Zaina Erhaim, giornalista e attivista siriana che ha portato la sua esperienza nell’incontro, moderato da Maria Gianniti di Radio Rai, organizzato questa mattina alla “Sala Notari” di Perugia nel penultimo giorno dell’International Journalism Festival.
Zaina, con l’aiuto di slide e diapositive, ha cercato di far capire ai giornalisti e agli spettatori, accorsi in massa, le problematiche che deve affrontare chi fa in informazione nello scenario del conflitto siriano. Nel paese, la Siria, dove c’è il più alto tasso di giornalisti uccisi (107 dall’inizio della guerra), “si vive - ha spiegato Zaina - sotto costanti attacchi da parte di tutte le fazioni in lotta. Ognuno vorrebbe che i giornalisti facessero propaganda per loro. C’è chi preferirebbe uccidersi piuttosto che subire le torture o essere minacciati con le bombe poste sotto le auto. Inoltre, essendo donna, sono costretta a muovermi e lavorare con il supporto fisico di mio marito”.
Rispetto ai giornalisti internazionali, per chi lavora e vive in Siria la situazione è più complicata: “Se un reporter straniero subisce attacchi, può facilmente rivolgersi all’ambasciata del suo paese. Mentre per me l’ambasciata è un nemico. E’ anche difficile vivere e accedere nei paesi limitrofi come Libano, Giordania e Turchia. Per questo molti fuggono come rifugiati in Europa. Ci vedono come vittime, persone disperate, povere, non istruite: non è vero. I siriani che hanno un lavoro o hanno studiato non emigrando per scelta personale ma perchè non hanno una terra, una casa”.
Zaina Erhaim, membro dell'Institute for War and Peace Reporting, si occupa anche di formare citizen journalist, addestrarli a evitare attacchi informatici, e stimolare le loro coscienze. “Se continuo a fare la giornalista in questa situazione è perchè non voglio piegarmi alla propaganda”.
Luigi Lupo